La pertinenza della domanda è evidente a fronte di una perenne immagine negativa del continente africano che
continua a rimbalzare sugli schermi televisivi nei notiziari delle cicliche carestie o guerre tribali con gli inevitabili drammi dei morti per fame o le infinite colonne di sfollati e rifugiati. Quasi tutti i paesi africani hanno oramai festeggiato i cinquant’anni della loro indipendenza e affrancamento dall’epoca coloniale ma non sono così tangibili i risultati positivi, in diversi casi sono le stesse infrastrutture coloniali costruite nel secolo scorso a dover servire una popolazione a dir poco quadruplicata; qualcuno arriva perfino a rimpiangere quei tempi in cui almeno “qualche cosa funzionava”. Che dire dei piani d’aiuto emanti dagli organismi internazionali vuoi delle Nazioni Unite vuoi dalla Comunità Europea o dagli Stati Uniti, vuoi dal Fondo monetario internazionale o dalla Banca Mondiale. Che dire ancora delle migliaia di microprogetti ed interventi ad hoc realizzati con caparbia determinazione dai missionari di tutto il mondo
assieme alle loro chiese o in epoca più recente ma non meno significativa, da altrettante migliaia di associazioni ed organizzazioni non governative nei più differenti campi, siano essi emergenze dovute a crisi umanitarie, sanità, istruzione, lavoro.
Certamente alcune città-capitale si distinguono per il loro volto e per i loro servizi di livello europeo, eppure l’impressione generale che predomina sia nei media sia nel viaggiatore attento al panorama complessivo dei paesi africani, è quella che fa esclamare “nulla si muove” e probabiolmente “qualcosa peggiora”. Perché?
Potremo cercare le cause nelle politiche neocolonialiste da parte dei paesi industrializzati e del retaggio del debito estero che stangola le giovani economie, chi non ricorderà le campagne contro l’abolizione dell’ingiusto debito internazionale dei paesi più impoveriti. Potremmo parlare della fame di materie prime dei paesi ad economie avanzate e dei contratti super favorevoli a questi primi e alle loro industrie, compiacenti e benficiari innumerevoli e corrotti governanti africani, senza ricadute di rilievo sulle infrastrutture dei paesi governati e sulla qualità di vita dei loro cittadini. Ai vecchi “leoni” europei ed americani si aggiungono oggi i nuovi leoni cinesi ed indiani. Potremo anche puntare il dito sulla proverbiale e culturale capacità d’attesa (pazienza secondo alcuni, pigrizia secondo altri) del popolo africano, uomo di foresta e non d’industria sintonizzato più sul ritmo del sole che su quello dell’orologio e dell’agenda. Potremmo ancora aggiungere altri elementi, la cultura del “capo” sovrano supremo, la mancanza di istruzione per tutti e di accesso alle comunicazioni, una concezione ed un’esperienza ancora immatura di democrazia... un problema complesso non può avere che delle risposte articolate, nessuna soddisfaciente in pieno.
Io non sono nè politico nè economista, nè industriale nè antropologo, ma semplicemente missionario del Vangelo in terra congolese, in quella Repubblica Democratica del Congo che per certi versi più di altre in Africa manifesta tutte le contraddizioni appena descritte. Vorrei perciò aggiungere un altro elemento d’analisi che possa aiutare a comprendere il perchè l’Africa evolve, e lo individuo nella lentezza con cui la novità e la rivoluzione del Vangelo dell’amore è entrato in gioco per risollevare le sorti dei paesi africani. Mi spiego. Se le comunità cristiane d’antica data da sempre si mobilitano attivamente a favore dei fratelli poveri africani, fino ad essere quasi stanche nel donare e nell’essere sollecitate a donare, senza avere riscontri concreti e apprezzabili di migliorie evidenti, ebbene non è certamente questa la filosofia – la filosofia del dono sincero e dell’aiuto efficace e duraturo - con la quale si muovono i governi occidentali e le loro grandi istituzioni internazionali anche se di facciata si sanno mostrare solidali e pronte all’aiuto; non è neppure la filosofia con la quale i governi africani pensano le loro azioni, in vista cioè del maggior bene comune a favore di tutti. I microprogetti, le donazioni, gli aiuti puntuali servono eccome, ad alimentare la speranza, a testimoniare la carità fattiva, a dare esempi puntuali di possibile e reale sviluppo, ma occorre evangelizzare le politiche locali ed internazionali per poter vedere dei miglioramenti effettivi su scala nazionale e continentale. I piani d’aiuto internazionali sono generalmente operazioni pubblicitarie o mascherate operazioni economiche che mirano inequivocabilmente al profitto se non al “massimo profitto” in un mondo spietatamente concorrenziale. Evangelizare la politica ed evangelizzare l’economia, con le Parole forti del Dono e dell’Aiuto, dell’Amore e della Gratuità, ecco la sfida. Nulla di meno. Sia sul versante europeo che in quello africano. Politiche di effettiva solidarietà, di reale giustiza, di interese partecipato sono il fermento del vangelo che dopo aver operato nel cuore del singolo è capace di operare su scala globale attraverso il cristiano e attraverso ogni uomo di sincera e buona volontà. Chi frenerà corrotti governanti africani e corruttori operatori internazionali se non animi che hanno accolto il Vangelo e la sua rivoluzione d’amore? Chi smetterà di riempire le proprie casseforti personali per aprire gli occhi sulle migliaia di fratelli, viventi sotto la soglia della povertà, se non dei cuori evangelizzati? Chi convertirà le operazioni di facciata dei grandi organismi ossessionati dalla necessità della propria sussistenza e perpetuità, in capacità di com-patire se non chi come Cristo si saprà immergere nel dolore dei piccoli di questo continente? E’ necessario che il Vangelo, il suo modo di intendere il Creato e l’Uomo, guidi in modo esplicito o implicito i passi di tutti.
Riflettendo da missionario, il cui compito principale è l’evangelizzazione dei popoli ed il loro sviluppo integrale, di fronte alla pesante questione del perchè l’Africa non si sviluppa credo sia giusto dire con franchezza che la principale causa è un deficit di evangelizzazione, un deficit di vangelo nelle anime e nelle società. Da un lato, in occidente, si rischia l’affievolimento se non lo spegnimento della fede e del suo carico di novità d’amore nel cuore di molte persone, a maggior ragione nelle politiche dei governanti e degli operatori economici svuotate d’umanità e di larghi orizzonti. Dall’altro lato, in Africa l’evangelizzazione che infiamma il cuore di molti non è ancora giunta ad intaccare le strutture decisionali e di governo attraverso le persone che dall’interno vi operano. A ciascuno, secondo i mezzi e gli strumenti che gli sono dati, la possibilità di agire per uno sviluppo integrale del continente africano, ma non sottovalutiamo l’imperiosa esigenza di evangelizzarci ed evangelizzare.