lunedì 19 dicembre 2016

Famiglie



Rientro dall’ospedale dove sono stato a portare l’Unzione dei Malati ad una giovane mamma, quarantenne, semicosciente, il respiro faticoso, rotto in due, segno di qualcosa di grave che si sta passando in un corpo oramai alla fine delle proprie forze. L’infermiere cura la malaria con una potente iniezione, poichè gli esami hanno dato esito positivo, ma è chiaro che c’è molto di più e peggio che la malaria. La preghiera che facciamo è affidamento a Dio nella consapevolezza che umanamente, con i mezzi a disposizione sul posto “tutto è stato fatto”, o meglio “non c’è più nulla da fare”. La preghiera è l’ultimo risvolto della speranza  e nello stesso tempo l’ultima carità che si può fare al povero malato accompagnandolo in quello che sembra davvero essere l’ultimo viaggio.

 E’ il marito che mi chiama, la donna era stata dimessa dall’ospedale qualche tempo fa non sapendo più che medicine proporle, ma a casa miracolosamente aveva ripreso forza. Un canto del cigno prima di ricadere. E’ commovente vedere il numero di persone, di familiari, di conoscenti che al capezzale del letto attendono gli avvenimenti, pregano, commentano, stanno in silenzio, fanno sentire il loro affetto la loro vicinanza. La morte fa parte della vita, è temuta ma non è qualcosa di irrimediabile e tremendo poichè quotidiana è l’esperienza della fragilità e della debolezza. L’atteggiamento psicologico del “superuomo” che non conosce sconfitte è sconosciuto nella nostra foresta. La morte che fa parte della vita è vissuta in famiglia, non è un avvenimento puramente individuale, e se una parte della famiglia se ne va gli altri, pur impoveriti, ne continuano il percorso.


Prima di rientrare passo da Simiendi, il bimbo di circa otto anni che con Morena abbiamo portato all’ospedale con una bruttissima piaga nella parte posteriore del collo e delle spalle. Erano già passati tre mesi da quando era caduto nel fuoco in seguito ad una crisi di epilessia. Fino a quel momento nessuna cura. Dio solo sa come abbia potuto resistere e sopravvivere. E’ il quarto di sei figli. La mamma non ha marito. Come si suol dire qui “anazaa mugini”: concepisce e dà alla luce i bimbi in casa, senza che ci sia un qualche papà che in seguito si prenderà cura di loro. E’ uno zio che lo ha accudito all’ospedale per un paio di giorni prima che la mamma si faccia viva... aveva gli altri più piccoli a casa a cui badare. 




Nel padiglione dell’ospedale dove sono trovo il bambino malato, lo zio e la mamma che tiene tra le braccia l’ultimo suo nato di circa un anno d’età. Mentre ascolto la loro storia si mischiano sentimenti di biasimo e di comprensione, di incredulità e di compassione. 
Quanta incoscienza, quanta povertà, economica e culturale, quante poche alternative. L’amore non manca. E’ la prima volta che li vedo tutti insieme. 

La dedizione dello zio mi ha stupito fin dall’inizio e continua a stupirmi. Il bimbo malato lentamente si sta riprendendo anche se ci vorrà ancora molto tempo. E’ una famiglia un pò strana: fratello, sorella e i sei bimbi di lei. Quei bimbi che sono il loro peso e la loro ricchezza. Difficilmente potranno essere curati quando saranno malati, più difficilmente ancora potranno andare a scuola. L’unica loro ricchezza sarà la loro famiglia. 



lunedì 5 dicembre 2016

Preparando Natale 2016

Seppure manchiamo di tante cose a Babonde – Repubblica Democratica del Congo -, tuttavia una sufficiente connessione internet ci permette di essere collegati al mondo, in contatto ed informati. Telefono a singhiozzo, nessun servizio postale ordinario, sentieri troppo coraggiosamente chiamati “strade” sono altrettante  realtà che penalizzano le comunicazioni, ma per il momento è l’Internet che rende possibile una vicinanza familiare, fraterna, amicale, di cuore e di fede. 




Così ne approfitto per inviare un calorosissimo saluto ed augurio a tutti quanti condividono, nelle più differenti forme, la passione per la missione e tra le missioni, la passione per la missione di Babonde. 
Annunciare e far sperimentare la Misericordia di Dio deve e vuole essere il cuore di quanto stiamo facendo. Annunciarla con le parole, farla sperimentare con le azioni. Siamo innanzitutto sicuri che quanto stiamo facendo prende ispirazione dall’alto e lo facciamo insieme a tutti voi che da lontano ci sostenete. Siete fratelli, amici, compagni di classe, compaesani, conoscenti, benefattori, confratelli, cristiani di comunità parrocchiali, membri di gruppi ed associazioni. Con molti di voi ci conosciamo da anni, con altri invece non ci siamo ancora incontrati, non ci siamo ancora visti di persona eppure siamo in grande sintonia e perfetta consonanza di intenti. Sicuramente è la stessa fede che ci unisce e la stessa carità, la stessa preghiera, le stesse speranze e desideri, le stesse aspettative per noi e per i fratelli meno fortunati. Magari a tutte queste realtà diamo nomi differenti, ma sappiamo di essere davvero in sintonia. Vi assicuro che la sento forte questa sintonia che è per me sostegno ed incoraggiamento. 
Salutandovi nell’occasione di queste festività natalizie voglio farmi tramite del grande, sonoro grazie che vi è indirizzato dai nostri cristiani di Babonde, dai catechisti, dagli alunni e studenti che non hanno perso la scuola, dalle mamme del “taglio e cucito” e dei centri di alfabetizzazione, dagli anziani e dai malati che trovano un aiuto per farsi curare. Un fragoroso grazie dai bambini malnutriti talvolta salvati per i capelli e guariti, dai giovani falegnami, dai piccoli Pigmei e dai molti che si possono finalmente bere un buon bicchiere d’acqua potabile in pace. Per glorificare il Dio che viene è necessaria la pace in terra, fatta di tante buone cose... Che Dio venga: accogliamolo! Che la pace sia fatta: prestiamogli le nostre mani così che ce la faccia fare buona come la vuole lui. Buon Natale, p. Renzo.





venerdì 2 dicembre 2016

MORENA 3

Sappiamo che non è facile arrivare a Babonde a causa delle incertezze politiche di questi giorni, dei voli aerei e delle corrispondenze interne non sempre affidabili al cento per cento, ed infine a causa delle strade di foresta quasi inesistenti. C’è allora da meravigliarsi nel poter accogliere ancora una volta maman Morena qui tra noi, frizzante, serena  e gioiosa che senza badare alle voci contrarie batte tutti i record di presenza di questi ultimi anni. Non credo sia mai capitato che qualcuno dall’Europa sia arrivato qui così tante volte in così poco tempo.
E’ qui per il Talita Kum, per l’amore che ha per i nostri bimbi malnutriti, per questo popolo, per la semplicità della vita quotidiana in foresta. Le molte cose che qui mancano, rispetto ad una vita europea, non pesano. Altri aspetti prendono loro il primo posto. La ripetitività del cibo lascia lo spazio alla conversazione. La fatica degli spostamenti in moto genera un sonoro e prolungato sonno. L’energia spesa negli incontri con persone e situazioni sempre nuove ed esigenti domanda la ricarica della riflessione e della preghiera.
C’è una specie di vuoto di cose, delle tante cose delle abitazioni occidentali, ma una reale e contrapposta pienezza di persone e di storie. Per la grande maggioranza sono storie di problemi e di fatiche, di sofferenze e di speranze, comunque storie vere, non fictions, che richiedono attenzione, ascolto ed una parola di incoraggiamento, un gesto concreto di aiuto. Visitiamo l’ospedale, e la scuola, gli accampamenti dei pigmei. Andiamo nei diversi villaggi ad incontrare e pregare con le vivaci comunità cristiane.
Ci inoltiamo dove giovani uomini con sforzi titanici scavano per cercare l’oro. Salutiamo chi,  fionda alla mano si contende con piccoli ma affamati uccelli il raccolto stagionale del riso. Per Morena penso sia un insieme di immagini, di sensazioni forti, di lacrime nascoste e scoppio di risa. 
Per la gente di Babonde Morena è il segno concreto di una solidarietà reale fatta di tante mani e di tanti cuori. E’ la traduzione di quell’espressione inglese famosa “I care”, io mi interesso, io mi preoccupo, io mi prendo cura. Nel mare di indifferenza e della mancanza di tempo ecco che si può trovare il tempo per...  Nella moltitudine delle piccole e a volte inutili cose da fare, al posto di rispondere ‘spallucce’ ed invece che dire ‘ne ho già abbastanza dei miei problemi’, è geniale trovare la forza di farsi carico di qualcuno, dei problemi degli altri. Era questo l’anno della Misericordia. L’anno è terminato ma siamo stati invitati a non chiudere definitivamente quella porta che ci apre la strada verso il povero. Avendo misericordia di lui faremo un grande regalo a noi stessi che pure abbiamo già beneficiato ed ancora abbiamo bisogno di uno sgurado di misericordia su di noi.  Forse è questo il segreto di Morena 3. Grazie per la tua presenza qui tra noi.



giovedì 24 novembre 2016

STATI UNITI D’AMERICA

Finalmente trovo il tempo di mettere giù qualche nota del lungo viaggio che mi ha portato negli Stati Uniti d’America. Un viaggio lungo nei chilometri percorsi e lungo nei giorni spesi... ben spesi.
Ho colto l’occasione che mi si presentava per imparare l’inglese, o meglio, l’American English. I nostri confratelli dehoniani d’America offrono infatti ogni anno a due confratelli congolesi la possibilità di passare tre mesi nel loro Seminario-Scuola di Lingua Inglese. Sono italiano, non l’ho dimenticato, ma per la Congregazione appartengo alla Provincia  SCJ Congolese, ed ecco che mi sono imbarcato in un viaggio che è stata anche un’avventura e che mi ha portato a Milwaukee nello stato del Wisconsin. Non sono più un ragazzino, ma non c’è limite d’età per imparare qualcosa di nuovo e devo sinceramente dire che mi è piaciuto ritornare sui banchi di scuola, “staccando” dalle responsabilità di tutti i giorni per una vacanza-studio prolungata e benefica.
L’inglese del tempo delle superiori non aveva dato grandi frutti, lo studio e la pratica di questi mesi (lugio-settembre) mi permette oggi di sostenere una conversazione che non sia troppo complicata. Le vicissitudini del viaggio mi hanno costretto ad una sosta forzata di quindici giorni a Bruxelles per mettermi in regola con il visto d’entrata negli Stati Uniti. E’ stata una esperienza un pò triste ma è stato così che finalmente ho incontrato il nostro confratello polacco padre Ladis che fu a Babonde negli anni novanta e di cui tutti conservano un gran bel ricordo. Ad Hales Cornes dove ha sede la nostra comunità, ho conosciuto invece un confratello americano che fu a Babonde negli anni ottanta, padre Charls. Da lui ho potuto avere qualche foto di quegli anni e rivedere giovani volti degli adulti di oggi. Con la memoria siamo riandati a Babonde, a qualche evento dei tempi passati e presenti. Una amara constatazione ci ha fatto riconoscere che tantissime cose sono rimaste esattamente le stesse: le stesse strade, abitazioni, condizioni di vita. 
Gli unici probabili progressi si possono ritrovare nel nuovo sistema politico, la giovane e fragile democrazia e nella nuova consapevolezza e grado di istruzione che la popolazione lentamente acquisisce. Ad Hales Corners una comunità scj accogliente ed un’equipe fantastica di insegnanti hanno reso davvero utili e piacevoli i mesi trascorsi. Ho potuto avere una qualche idea dello stile di vita americano, dei problemi ai quali sono confrontati tutti i giorni e del loro modo di guardare il mondo esterno. Ho potuto guardare con il naso all’insù i grattacieli di Chicago, ammirare le tecnologie e le professionalità messe in campo per ogni tipo di lavoro, entrare in abitazioni e supermercati, chiese e musei, parchi e fiere. Parlare di politica (eravamo in piena campagna elettorale con Donald Trump e Hilary Clinton il lizza), di cibo, di divertimenti, di fede e di innumerevoli altri argomenti. Come si studia, si lavora, si prega, si viaggia, sono stati altrettanti spezzoni di vita che hanno attirato la mia attenzione. Occorre dire che l’animo umano, la “pasta” con cui l’uomo è fatto è la stessa dappertutto, ma il modo in cui quest’animo umano si esprime assume di volta in volta caratterisiche differenti: europee, africane, nordamericane e quant’atre. 
Quando oggi racconto qualcosa o mostro qualche foto agli amici di Babonde è tutto un forire di domande per ulteriori spiegazioni, di esclamazioni di stupore e meraviglia o di silenzi sbalorditi quando è difficile comprendere davvero cosa si sta vedendo o ascoltando per la prima volta.  Sono di nuovo a Babonde, anche se qualcuno ha temuto che imparando l’inglese avrei dovuto presto partire per una nuova missione. A Dio piacendo e con grande gioia resterò a Babonde ancora per un pò, fino a quando la Congregazione mi chiederà di andare altrove. Cosa ne farò di questa esperienza americana e dell’inglese? Per intanto abbiamo creato un piccolo gruppo culturale con gli insegnanti di inglese delle scuole secondarie di Babonde in modo da esercitare quanto ciascuno già conosce della lingua inglese e per migliorarci reciprocamente.  Infine è certo che ogni viaggio permette nuove aperture e l’acquisizione di nuove prospettive. In questo senso non so ancora quali saranno le ulteriori ricadute positive di questa esperienza, ma non tarderanno a venire e ho fiducia che saranno feconde. Vi farò sapere. Ciao da Babonde.




lunedì 20 giugno 2016

Medici Senza Frontiere al TALITA KUM


Ci risiamo con l’epidemia di malaria. Una stagione secca intensa e prolungata e non sappiamo quale altro fattore generante, hanno innescato anche quest’anno una crisi acuta sul piano sanitario ed in modo particolare per quanto riguarda i bambini. Che di malaria si possa morire e si muoia è un dato di fatto risaputo ma purtroppo ne hanno fatto le spese qualche centinaio di bimbi, e a tutt’oggi all’interno di un raggio di cinquanta chilomentri possiamo contare quasi un migliaio di giovani vite falciate.
Nel lasso di tempo di uno o due giorni dal manifestarsi dei primi sintomi della malattia ogni cura si rivela insufficiente se non con farmaci di nuova generazione e con cure intensive inesistenti nelle nostre strutture. 
Anche le cure di base talvolta sono economicamente irrangiungibili per una gran parte della popolazione. 
Si sono così moltiplicati i lutti nel reparto di pediatria e gli infermieri si sono ritrovati impotenti di fronte all’ampiezza dell’epidemia. 
Bimbi provienienti da tutti i villaggi sono stati accomodati su stuoie gettate per terra poichè i letti non erano sufficienti, in attesa di consultazione e di cure. Proprio in questo periodo la nostra falegnameria con l'aiuto di Alessandro di Bologna e di alcuni suoi amici di famiglia stava producendo una decina di letti per l'ospedale.
Le autorità mediche allertate hanno avuto una pronta risposta positiva da parte di Medici Senza Frontiere che hanno oramai un ufficio operativo stabile nella città di Isiro ed hanno così potuto reagire con una certa rapidità. Sono stati organizzati dei centri di cura intensiva nelle Zone de Santé (le nostre USL in Italia) o centri sanitari di Boma Mangbwetu e Pawa, all’interno del quale anche Babonde si trova. Viste poi le distanze e le difficoltà di trasferire i malati in condizioni gravi su strade dissestate su di una distanza di più di 50 chilometri, alla fine i responsabili di MSF hanno accettato di stabilirsi anche a Babonde, nel nostro ospedale.
Li abbiamo ospitati alla missione il tempo necessario di approntare il loro campo d’urgenza e dopo quasi un mese dal loro arrivo possiamo constatare la sostanziale diminuzione dei decessi di piccoli bimbi ed il regredire del numero dei nuovi casi.
MSF può offrire medicinali e cure mediche gratuite, un servizio di qualità e l’allestimento di una sala per le urgenze. Un servizio taxi in moto per trasportare i malati a partire dai Centres de Santé (ambulatori di villaggio con un infermiere in servizio) più lontani da Babonde.


Anche il nostro Centro Nutrizionale Talita Kum (Bambino alzati) presso la Missione, ha dovuto constatare un aumento impressionante di nuovi casi di malnutrizione. La media di cinquanta prime colazioni e pasti, nei tre giorni di apertura è aumentata in questi giorni a novanta.
Con l’aiuto dei benefattori dall’Italia (Associazione Missioni casa Sacro Cuore e le iniziative di mamma Morena) avevamo pensato di acquistare un piccolo numero di sedie in plastica per educare i bimbi a mangiare seduti e per migliorare l’igiene nelle abitudini alimentari.
Purtroppo la piccola struttura di cui usufruiamo ed il grande numero di malati che accogliamo in questi giorni non può permetterci di fare molto di più al momento per migliorare il servizio reso, sappiamo tra l’altro che molti malati più lontani non arrivano al Talita Kum a causa della distanza. In questo senso siamo in contatto con MSF per sollecitare un loro intervento anche nel settore della malnutrizione e non solo per i casi di malaria. Abbiamo buona speranza in una fruttuosa collaborazione soprattutto per quel che riguarda l’approvvigionamento di latte terapeutico per i bebé e di un cibo speciale fatto di pasta d’arachidi arricchita molto efficace nella cura della malnutrizione.
 


 





domenica 19 giugno 2016

APDI

La sigla APDI significa Azione per lo sviluppo integrale (Action pour le développement intégrale) ed è una nuova creazione a Babonde nel campo delle ONG ossia una nuova Organizzazione Non Governativa altrimenti detta anche ASBL, Associazione Senza finalità (But) di Lucro. Non sono molte le ONG presenti nel nostro territorio, ed ancora meno quelle che pur avendo uno statuto svolgono regolarmente le loro assemblee, hanno un consiglio direttivo regolarmente eletto e compiono delle vere azioni concrete sul territorio.
L’idea è nata ancora qualche anno fa ma la procedura amministrativa è stata lunga e difficoltosa. In ogni caso alcuni risultati importanti sono stati raggiunti: costituzione dello Statuto, registrato con atto notarile, e del Regolamento Interno, riconoscimento da parte dell’autorità provinciale e del territorio locale con autorizzazione alla operatività, infine la costituzione degli organi associativi e l’inizio delle attività.
L’idea base è la promozione di una mentalità associativa capace di compiere delle azioni concrete per un vero sviluppo del contesto circostante, sia sul piano della sanità che su quello dell’istruzione senza dimenticare quello dei diritti umani. Mettersi insieme e discutere, su base democratica è un primo punto da assodare; mettere insieme le piccole risorse per compiere qualcosa in favore del “bene comune”, è un’altro grande obiettivo; sensibilizzare un sempre più vasto numero di persone ed associarle è un ulteriore passo da compiere.

Sappiamo per certo che delle azioni di grande portata potranno compiersi con un apporto sostanziale di qualche partenaire che venga in aiuto ai progetti elaborati sul posto poichè la realtà economica degli associati, una cinquantina, è decisamente povera, costantemente al livello della sopravvivenza e la loro quota associativa annua non supera i 5 dollari. Per il momento la nostra Missione di Babonde è il principale partenaire, infatti con l’aiuto di qualche sacco di cemento diamo “una mano” all’APDI nella potabilizzazione dell’acqua sistemando in modo conveniente alcune sorgenti circonstanti.
In ogni caso, queste piccole azioni rendono visibile la possibilità di fare qualche cosa con mezzi propri e locali per il miglioramento del proprio ambiente e nutrono la buona speranza che un circolo virtuoso possa essere innescato.

Noi della missione, dopo aver accompagnato gli inizi dell’associazione ci siamo ritirati perchè essa possa camminare con “gambe proprie”, con il nuovo consiglio direttivo,  riservandoci qualche intervento di formazione o di consulenza, cercando anche qualche aiuto che li possa sostenere nel compimento della loro missione: buone pratiche, buone azioni, buon sviluppo. Crediamo che con il tempo altri potranno aggiungersi ed associarsi a noi e alla APDI.





sabato 18 giugno 2016

ATELIER ( MAMMA) MARIE JEANNE


Nell’insieme delle costruzioni che servono alla scuola superiore di Babonde ha preso un posto centrale l’Atelier Marie Jeanne, ossia il laboratorio di Taglio e Cucito – Atelier de Coupe et Couture - ma quello che è interessante è conoscere la sua storia e il servizio che vi si svolge all’interno. L’iniziativa nata ancora molti anni fa assieme a padre Gianni Lamieri, di sostenere alcune mamme e giovani figlie già madri che non potevano accedere alla scuola o apprendere un lavoro ha oggi preso un volto più preciso e dei contorni più solidi maturando nel tempo la propria identità. Il gruppo di giovani madri può beneficiare oggi di alcuni insegnanti qualificati che se al mattino sono dedicati ai corsi normali della scuola supriore, nel pomeriggio possono seguire la teoria e la pratica con coloro che hanno abbandonato da tempo la scuola soprattutto a causa di gravidanze precoci e/o mancanza di qualche piccolo mezzo finanziario per pagarsi i corsi. 
I corsi del pomeriggio li chiamiamo 
Corsi di Recupero.
Un numero sufficiente di macchine da cucire “a mano e a pedale” è a loro completa disposizione. Queste vecchie macchine da cucire dismesse in Europa ha compiuto qualche migliaio di chilomentri e grazie alla generosità di chi le ha donate e di chi ha finanziato il trasporto, rendono ancora oggi un buonissimo servizio per l’apprendistato e la pratica, in un luogo come Babonde dove la corrente elettrica è un bene prezioso, raro e di difficile accesso.


Le giovani madri sono organizzate in un Centro di Recupero all’interno della scuola superiore Ste Marie. In essa l’opzione di Taglio e Cucito raggiungerà nella prossima stagione scolastica il suo quarto anno di funzionamento con gli esami ed il rilascio del brevetto ai finalisti che riusciranno così a terminare il loro programma di ciclo breve professionale. Sarà un buon risultato che si aggiungerà ai molti maturati in questi anni. La buona formazione, il locale ampio, la buona attrazzatura, completa di altre macchine per il surfilage, la broderie e il disegno dei tessuti, lasciano ben presagire. 

L’atelier porta il nome di Marie Jeanne, ossia Maria Giovanna, il nome della nostra mamma che ci ha lasciato nel Novembre del 2014. Anche lei era di questo mestiere, fin da quando ragazza imparava l’arte dalla zia Giovanna e nel frattempo conosceva un giovane della famiglia della zia che sarebbe diventato suo marito e nostro padre.  Gli abbiamo così dedicato questo Atelier, ricordo delle tante cose belle che ha insegnato e realizzato, soprattutto del suo donarsi quotidiano nelle cose semplici e piccole come sistemare un vestito o rammendare uno strappo. La gente di Babonde l’ha conosciuta solo per nome, ma a distanza ne ha fatto il lutto quando è venuta a conoscenza della sua morte e sono sicuro che le ha voluto bene senza poterla vedere, come anche la mamma ha voluto bene alla gente di Babonde senza poterla vedere di persona. Che questo legame d’amore possa continuare. 







martedì 10 maggio 2016

Generosi come il Fiume


Anche quest’anno ci stiamo “battendo” per la scolarizzazione del popolo pigmeo o meglio per l’alfabetizzazione dei loro bimbi. E’ infatti attraverso la scuola che possiamo aprire un altro fiume di relazioni che favorisca la reciproca conoscenza, l’accettazione, la collaborazione, l’integrazione tra la minoranza dei pigmei e la maggioranza della popolazione bantu. Non ignoriamo infatti che persistono tra i due gruppi tutta una serie di tensioni e incomprensioni, fino al disprezzo o allo scontro aperto o all’isolamento e alla fuga.


 Il progetto: “Alfabetizzazione del popolo pigmeo” si avvale dell’aiuto di maestri ed animatori sensibili, pazienti ed attenti alle difficoltà iniziali dei bimbi pigmei nell’affrontare una realtà ancora sconosciuta a causa della differenza di lingua, di abbigliamento, di tradizioni ed abitudini e di molte altre cose.

In quest’opera ci troviamo spesso soli all’interno di un sistema scolastico nazionale disastrato come lo è un gran numero di settori dei servizi pubblici della Repubblica democratica del Congo. La stragrande maggioranza delle scuole dell’interno (ossia di foresta), lontano dalle grandi città, si appoggia interamente sulle spalle dei genitori: costruzione delle aule, ricerca degli insegnanti ed il loro stipendio o “premio” di fine mese, gessi, penne, lavagne, libri scolastici... La latitanza dello Stato è cronica e colpevole. Troppo per  genitori dei bimbi pigmei. Senza l’aiuto della missione e del Progetto, la scolarizzazione primaria dei bimbi in età scolare sarebbe ridotta ad un 5% se non meno.
Cerchiamo allora di non dimenticare che l’educazione è uno dei diritti dell’infanzia. Ogni anno, tra mille difficoltà riusciamo a scolarizzare circa 400 ragazzi pigmei, motivando gli insegnati, costruendo qualche aula per loro e per i loro coetanei bantu, acquistando i pochi indispensabili libri di testo. La goccia scava la roccia e dopo anni, uno di quei bimbi d’allora è oggi maestro diplomato dei propri piccoli fratelli, ed altri stanno seguendo l’esempio. La reciproca conoscenza attraverso la frequentazione quotidiana, la conoscenza delle rispettive lingue parlate e delle abitudini, l’apertura di mente e di spirito che la scuola può donare sono solo alcuni dei frutti che stiamo raccogliendo.

Quest’anno cerchiamo di ampliare il progetto costruendo almeno un’aula scolastica in “semi-duraturo”  (assi di legno resistente e tetto in lamiere) che sia dedicata ai piccoli pigmei all’interno di una scuola a ciclo completo di sei anni. Sappiamo infatti che sono pochi i ragazzi pigmei che potranno continuare fino al completamento del ciclo a causa delle molteplici difficoltà, compresa anche la loro vita seminomade che genera molta instabilità e precarietà negli studi.

Tutto questo sarebbe impossibile senza l’aiuto di chi solidarizza con questo popolo nelle mille forme possibili. Perciò il nostro grazie è rivolto ai tanti, famiglie e gruppi, singoli ed associazioni che in molte forme ci stanno aiutando, chi da oggi, chi da tanto tempo. Alcuni sono volti conosciuti, molti altri restano non conosciuti ma amici concreti, vicini ed operosi.
Grazie al questa Generosità che scorre tranquilla, per certi versi simile al grande fiume Congo – chiamato semplicemente Il Fiume - che attraversa questa immensa nazione, poichè questa sensibilità ed azione trasporta quotidianamente il suo carico di aiuti e di sollievo, di amicizia e di attenzione, “erodendo” lì dove qualcosa c’è per portarlo a valle e confidarlo a quel vasto mare che si chiama Bene.


Sappiamo che la piccola “battaglia” quotidiana per la scuola e per l’alfabetizzazione non sarà l’unica. Dovrà essere accompagnata  da quella per i diritti umani, per le cure mediche di base, per la terra... Da qualche parte occorre comunque incominciare.