venerdì 25 ottobre 2013

MISSIONI

Alla Parrocchia di Chirago - Butembo - RDC.
E’ oramai notte, e già da qualche ora funzioniamo alla luce della batteria, ed è in questo momento che rifletto sulla fine della giornata di oggi, le celebrazioni a Gbunzunzu e a Fungula, due villaggi della nostra vasta parrocchia, e la giornata di preghiera per le missioni che si è celebrata dappertutto nel mondo intero all’interno delle comunità cristiane e da noi ugualmente. Non volevo chiudere questa giornata senza dare un piccolo segno di vita. Si leggeva oggi che la forza della missione è espressione di una comunità matura, che sa essere feconda, non solo all’interno della propria porzione di territorio, ma anche altrove, fino agli estremi confini...
Ora tutti noi sappiamo che di confini ne abbiamo molti, non solo quelli geografici e di "confini estremi" pure ne abbiamo molti:
le parti più nascoste del nostro spirito; i fratelli in umanità che ci sono accanto ma che non abbiamo mai visto oppure non abbiamo mai considerato come tali; i cosiddetti “perduti” per le più disparate ragioni, oramai alla perifera della società, le “boccie perse”; coloro che non si sono mai integrati o non si sentono “dentro” assieme agli altri; coloro che non sono dei “nostri” e coloro che vengono da altrove... sono solo alcuni dei tanti “confini”.

Mi considero un fortunato per poter essere al servizio del Vangelo in un luogo lontano dalle “mie terre”, vicino ad uno dei tanti confini del mondo, ma penso che possiamo condividere questa fortuna visto che, appunto, i “confini estremi” sono molti e variegati e a tutti è dato di oltrepassarli, nella sincerità verso il più profondo di se stessi che è allo stesso tempo sincerità di fronte a Dio creatore . A tutti noi allora buona festa della missione ricca di autenticità, di coraggio e di aperture.

giovedì 10 ottobre 2013

GEOGRAFIE DEL MONDO E RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTA’

Un nostro confratello 
ha effettuato un viaggio in Madagscar, e mentre era assente parliamo di lui assieme a due giovani che hanno già ottenuto il loro “Diplome d’Etat” ossia hanno già superato l’esame di maturità. Nella conversazione domando loro se sanno dové il Madagascar e se possono indicarlo su di una carta geografica che è appesa al muro. Con gande stupore (mio) e un pò di imbarazzo (loro) non riescono a mettere il dito sul punto giusto, l’isola del Madagascar. Tento allora con qualcosa di più facile, se possono indicarmi dovè il continente Africa, e stavolta è il disappunto quando vedo l’incertezza regnare fino a puntare l’America del Sud piuttosto che l’Africa.
Questo episodio mi stuzzica ed inizio qualche riflessione, innanzitutto sul livello oramai degradato degli studi: anche coloro che sono regolari alle lezioni, alla fine del loro percorso si ritrovano con palesi lacune e talvolta senza aver svolto una parte importante del programma o senza aver assimilato numerosi punti elementari. E’ pane comune ridurre la scuola a banco di commercio dove si acquistano e si vendono i punti e le promozioni o dove si vedono gli alunni ridotti a mano d’opera a buon mercato nei campi da coltivare dei professori; senza tralasciare gli insegnanti dimenticati e malmenati dal loro primo datore di lavoro che è lo Stato, costretti a mille manovre e arrangiamenti per sbarcare il lunario sulle spalle di una nobile professione e vocazione che è l’educazione e l’insegnamento. Infine i genitori oramai stanchi di essere chiamati in causa per ogni cosa: la costruzione delle aule scolastiche, l’acquisto dei manuali per gli insegnanti, l’autofinanziamento per i banchi degli alunni, la quota mensile per garantire una remunerazione minimale agli insegnanti...
In buona sostanza sono questi i motivi che ci hanno spinto alla realizzazione del progetto “Institut Ste Marie”, la scuola superiore che vuole raccogliere la sfida dell’educazione poichè, come detto, in causa non è solo l’insegnamento della geografia ma le basi stesse dello sviluppo che poggiano sulla trasmissione del sapere. Una nuova generazione senza istruzione è una generazione alla quale è stata privata l’eredità che gli spetta: il sapere delle generazioni che l’hanno preceduta, ed è ora costretta a ricominciare da zero. Avremmo dovuto inaugurare il nostro “Institut Ste Marie” in questo mese di settembre ma il responsabile degli studi ha avuto un piccolo incidente ed è stato costretto ad un viaggio per cure mediche. La data è quindi riportata, ma tutto è al posto giusto e salvo qualche rifinitura l’essenziale c’è. Le lezioni hanno ben cominciato, con le due sezioni per il momento: le magistrali (pedagogie) e il corso professionale del “taglio e cucito”. Le sale sono riempite, gli studenti accorrono per iscriversi, i genitori sono contenti di inviare e sostenere i loro ragazzi e ragazze (sempre troppo poche in proporzione ai maschi) in una scuola che promette di dare ottimi risultati, che non riduce gli studenti al lavoro manuale, che non inventa ogni giorno nuovi balzelli, che paga con regolarità gli insegnanti. Un GRAZIE ENORME e sincero a tutti quanti hanno contribuito: i benefattori, gli operai, gli studenti stessi, gli insegnanti... Una scuola così ben costruita e ben funzionante è difficile vederla nel raggio di qualche centinaio di chilometri. Con l’aiuto del buon Dio non deluderemo e non saremo delusi.

A partire dalla iniziale isola del Madagascar e dalla carta geografica del mondo vorrei aggiungere una riflessione sulla “rappresentazione della realtà”, ossia sul processo di apprendimento che ci permette di chiamare le cose con determinati nomi o segni (simboli, immagini) e a collocarle in un deteminato contesto di significati e di valori. Tra noi umani stipuliamo delle convenzioni, e ci accordiamo nel pronunciare un suono che chiamiamo “nome” e quando l’abbiamo pronunciato esso ci  permette di pensare a quella cosa sulla quale abbiamo convenuto e che abbiamo abbiamo vista o gustata o toccata oppure sperimentata o ancora semplicemente immaginata perchè ci è stata raccontata. Ecco che chiamiamo Madagascar una porzione di terra e di abitanti, un luogo geografico determinato e che rappresentiamo con un segno grafico su di un foglio bianco e lo circondiamo di azzurro per significare che è un’isola e tutto attorno è il mare. Già tutto questo domanda una serie impensata di convenzioni, di accordi taciti tra gli uomini e di istruzioni di modo che chiunque, in qualsiasi parte del mondo, sia stato istruito in questo modo possa indicare al suono “madagascar”  un punto preciso in un foglio disegnato e colorato ed immaginare una terra concreta, degli uomini, una lingua e via dicendo. Non è certamente il Madagascar (fatto di terra e di acqua, di piante, animali ed uomini...)  quella piccola porzione di carta colorata su quel foglio incorniciato appeso al muro e non è certamente “là” il Madagascar quando lo indico con il dito. Ma neppure sono in torto quando studio l’Africa e mi rappresento la realtà con l’aiuto di una carta geografica o di qualche fotografia. Mistero e potenza delle parole e dei simboli, mistero e potenza del linguaggio e della comunicazione. Poter significare qualcosa che è ben reale, senza tuttavia poterlo ridurre alla parola che lo pronuncia e lo evoca e senza poterlo ridurre al simbolo che lo rappresenta. Siamo nell’anno della fede, secondo la Chiesa cattolica, ed allora mi domando quale potenza e mistero si possono nascondere e rivelare allo stesso tempo pronunciando la parola Dio? La riflessione adesso potrebbe farsi troppo lunga, ma sarà senz’altro interessante.