lunedì 1 febbraio 2016

LVC

LVC una sigla che sta per  “La Vie est un Combat”, la cui traduzione suona all’incirca: “la vita è una battaglia”. E’ il nome di una compagnia di trasporti che con alcuni bus assicura un servizio regolare sulla strada principale che ci porta da Niania a Kisangani. Ancora una volta ho sperimentato l’avventura del viaggio in questo mese recandomi appunto a Kisangani. Domenica dopo la messa viaggio in moto fino a Niania. Dovendo attendere il bus per due giorni abbiamo preferito, con i miei due giovani compagni di viaggio, cercare un passaggio di fortuna. 
Ce ne sono spesso, sono le automobili d’occasione acquistate a Kampala in Uganda ad un prezzo estremamente economico, e fatte attraversare il confine per trasportarle a Kisangani lungo un percorso di 2000 km circa, per  imbarcarle su di un battello che discende la corrente del fiume Congo e raggiungere infine la capitale Kinshasa.
La nostra occasione è una “noa”, una automobile di 8 posti credo che in Italia la chiameremmo monovolume, non so se il nome “noa” abbia qualche riferimento all’arca di Noé o sia solo un’assonanza. Mi sembra un buon veicolo, anche se i pneumatici a bassa pressione, senza camera d’aria, non mi danno una buona impressione: “è arrivata sino a qui ci porterà fino a Kisangani”.


Partiamo in fretta anche perchè lungo la strada le formalità da sbrigare sono infinite, almeno una decina di posti di controllo che con la scusa di garantire la sicurezza mirano soprattutto a qualche mancia donata volontariamente o estorta. Dopo solo dieci chilometri una doppia foratura ci blocca. L’autista rientra con i due pneumatici su di un camion che viaggia in senso contrario per tentare una riparazione, noi lo aspettiamo pazienti fino alle quattordici accolti nel piccolo agglomerato di case situato nel mezzo della foresta.


Curiosiamo tra le capanne, mentre alcuni bimbi al mortaio puliscono il riso, ed altre bambine pigmee sono stranamente abbigliate mentre i loro coetanei maschi in foresta vivono qualche rito di iniziazione.



La riparazione è stata un “bricolage” nel senso che non c’erano pneumatici di ricambio di quel modello e ne facciamo subito l’esperienza,  due soli chilometri e un primo pneumatico esplode; altri due chilometri e siamo di nuovo a terra. Scoraggiati riflettiamo sul da farsi. Oramai bisogna abbabdonare l’automobile, l’autista cercherà i nuovi pneumatici ma gli ci vorrà qualche giorno. Assieme ci consoliamo con un buon pranzo di “fufu” (polenta) e pesce, ringraziando il buon Dio di essere non in mezzo alla foresta ma giusto nel mezzo di un villaggio un pò “robusto”, con un pò di movimento di persone, riusciamo infatti a trovare due motociclette che possano trasportarci nella cittadina più vicina Bafwasende che dista ancora una cinquantina di chilometri. Fazzoletti sulla bocca per proteggerci dalla polvere che ci avvolge completamente in questa stagione secca e ci cambia il colore della pelle, indipendentemente da quello di origine. “La vie est un combat”  il viaggio si risolve in un avanzare “en cascade”, di occasione in occasione. I molti che non dispongono di 30 o 350 dollari viaggiano sopra i teloni di plastica dei camion merci, con essi i loro bimbi e i loro bagagli. 
Anche le capre abbarbicate sugli stessi mezzi sanno che la vita è una battaglia.  E’ oramai sera e siamo ospitati nella parrocchia, il bilancio di una giornata di viaggio sono quattro forature i 70 chilometri percorsi e tanta stanchezza. Non demordiamo, il mattino dopo all’alba tentiamo un’altra “occasione”, con i cinesi, ossia la compagnia alla quale è stata affidata la risistemazione della strada nazionale sperando che accettino di trasportare dei passeggeri. 
Siamo fortunati.

Due camion di trasprto terra ed una autobotte andranno a Kisangani. Una piccola mancia agli autisti e possiamo partire. Il nostro autista è un congoloese di una sessantina d’anni, parliamo del più e del meno e mi racconta la sua vita.

Lavora oramai da due anni in questa ditta ma continua ad essere un giornaliero; il salario è di circa 130 dollari al mese, a partire dalle 7 del mattino fino alle 18 di sera, il pasto da provvedere personalmente, 7 giorni su 7, nessuna assistenza sanitaria. Il nostro autista lungo la strada fa salire la moglie con i suoi bagagli, una pentola di riso cotto, un’altra con del pesce e del sombe (legumi cotti), un secchio con delle archidi, due pacchetti di sigarette e qualche altro piccolo oggetto, due bidoni d’olio di palma. Tutte cose da vendere ad un centinaio di chilometri di distanza o agli opeai del cantiere, colleghi del marito. Potrà così racimolare qualche dollaro ed approfittare del trasporto per visitare qualche membro della famiglia.
E’ una giovane donna che sprizza vitalità da tutti i pori.Il nostro autista si confida: i figli da far studiare, le malattie che arrivano sempre troppo improvvise e le medicine da comperare, la precarietà del lavoro. Ad un certo momento esclama: “per fortuna la fine del mondo è vicina”.
Appartiene ad una di quelle “chiese del risveglio” presenti oramai a centinaia. Riconosce che queste chiese con i loro pastori hanno l’abitudine di chiedere un pò troppi soldi, ma aiutano la gente con la loro predicazione. Dopo non molto tempo, lungo la conversazione ritorna con il medesimo ritornello stavolta in forma interrogativa: “la fine del mondo è vicina?”. “Nessuno conosce nè il giorno nè l’ora” gli rispondo, “neanche Gesù in persona”.


La vita è difficile, la vita è una battaglia, ma non sarà qualche “sedativo” consolatorio e spiritualista a permetterci di migliorare le cose. Siamo oramai vicini alla città, il nostro autista non ha il telefono così mentre lui guida lo aiuto con il mio e chiamo qualcuno della famiglia perché, una volta arrivato, possa scaricare in velocità qualche asse di legno che trasporta abusivamente per arrotondare il magro salario. In un foglio sono annotati i diversi numeri, ho così l’occasione di parlare con “l’apotre”, ossia il responsabile della sua chiesa. Oggi è il mio giorno fortunato in tutta la mia vita non ho ancora avuto la fortuna di parlare con un Apostolo. In queste nuove chiese i titoli si sprecano e sono attribuiti per autoproclamazione: l’apostolo, il profeta, l’inviato, l’evangelista...

Siamo finalmente arrivati. Tre giorni per i nostri 500 chilometri di percorso. 
Nessun inconveniente maggiore, tutto è andato bene, abbiamo visto e conosciuto molte nuove cose. Tra una settimana il ritorno, stavolta il bus sarà pronto al giorno desiderato. Alla partenza un pastore (responsabile o predicatore) di qualcuna di queste nuove chiese e “convenzionato” con la compagnia di trasporti, inviterà tutti a pregare per un viaggio senza incidenti.  La risposta dei passeggeri sarà fervente. La sua preghiera durerà qualche chilometro tra canti e citazioni dell’Apocalisse, fino al momento di lasciarci non senza essere passato con un sacchettino di plastica per raccogliere qualche offerta prima di scendere. 
La vita è una lotta ed occorre essere attrezzati per combatterla. Nella guerra combattuta dagli eserciti molti si industriano a vendere le armi le più sofisticate per poterla vincere o semplicemente per  creare maggiori disastri in modo che la stessa guerra perduri e con lei gli affari che ne conseguono. La fede cristiana offre anch’essa numerose armi per combattere un’altra battaglia, quella della vita quotidiana, spirituale e morale ma anche la battaglia per la semplice sopravvivenza o per una vita più degna ed umana... più giusta. Qualcuna di queste armi può essere usata in modo improprio o deviato, resta pur vero che ci si deve difendere in qualche modo con quello che si ha, con le armi che si hanno. Una conoscena parziale del messaggio del Cristo, anche questa è un povertà da vincere.