lunedì 17 febbraio 2020

Italia-Africa (marzo 2019)



Un amico, con il quale ci conosciamo solo da lontano, via mail, mi chiede il perchè di una scelta missionaria. Semplicemente qualche riflessione.
Sono missionario dal 2006, in Africa, repubblica Democratica del Congo a Babonde, dopo aver svolto ministero nella mia città d’origine, Padova, in mezzo ai giovani, in parrocchia prima e poi nell’animazione del volontariato, della giustizia e pace e della missione. La cosidetta scristianizzazione o secolarizzazione o ateismo era già cosa evidente e “crescente” nelle nuove generazioni così come il fenomeno dell’abbandono della pratica religiosa da parte delle nostre generazioni o di quelle che ci hanno preceduto. 

Tuttavia non ho mai sperimentato scoraggiamento o delusione. L’attività con i ragazzi e con i giovani mi ha sempre permesso di spendermi con entusiasmo, di cercare di vivere i valori della vita cristiana e soprattutto di vivere la mia adesione a Cristo, alla sua persona, al suo messaggio e alla sua missione. Questo mi ha permesso anche (non la mia azione, ma la veridicità delle parole di Cristo e l’azione del suo Spirito) di incontrare e conoscere tantissime persone che erano ugualmente “dietro il maestro” e pronte ad agire, mi ha permesso di incontrare tante realtà che vivono il Vangelo non per semplice tradizione ma con convinzione rinnovata e attualizzata all’oggi.  Mi ha permesso anche di incontrare altri che pur dubbiosi o fragili nella fede cristiana ne hanno sentito tuttavia l’attrazione e la bellezza.

In questo contesto la scelta missionaria per l’Africa è stata la fedeltà ad un sogno di bimbo dove ho coltivato il progetto di poter fare del bene a chi ne aveva bisogno, ed è stata allo stesso tempo la possibilità di fare un passo ulteriore nella scelta della vita religiosa. Infatti nella vita religiosa assume un particolare significato il “lasciare tutto” per non appoggiarsi su se stessi e su ciò che si fa e si sa fare, ma su ciò che Cristo può fare attraverso di te. L’approdare a Babonde è stata anche la necessità di reimparare a parlare in un’altra lingua, anzi due, francese e kiswahili, la lontananza da famiglia ed amici in un luogo dove inizialmente non c’era né telefono né internet né servizio postale, differenza di cultura e di cibo, gli attacchi della malaria. In qualche modo è stato l’inizio di una nuova avventura nella fede dove era necessario “osare”. 
Nello stesso tempo ho potuto sperimentare da subito la verità delle parole di Gesù Cristo a Pietro quando lo rassicura con la promessa che colui che avrà lasciato tutto riceverà il centuplo in cambio.

E’ faticosa l’esperienza della missione in Africa ma riempita di tante gioie che vengono dall’accoglienza sincera da parte di un numero sempre crescente di persone del Vangelo annunziato e testimoniato. Una gioia che viene dalla collaborazione generosa di tanti catechisti che sono i responsabili di decine e decine di comunità cristiane sparse su un territorio vastissimo e che collaborano al lavoro della catechesi, allo svolgimento delle liturgie domenicali, alla crescita delle comunità. In questo sperimentiamo che dappertutto, in Italia come in Africa, “la messe è molta e gli operai sono poco numerosi”. 

Una gioia che viene dalla possibilità di fare un sacco di bene con il poco di conoscenze che si hanno e con il  poco di risorse che si hanno e che vengono dalla generosità di  tanti amici, familiari e associazioni che sono in Italia: il Centro nutrizionale per i bambini malnutriti, la scolarizzazione dei bambini pigmei, l’assistenza ai poveri, ai malati, agli orfani, l’aiuto in materiale all’ospedale locale, la costruzione di scuole, il sostegno scolastico,  la preparazione di nuovi insegnanti e professori con gli studi universitari, la promozione dell’agricultura, la falegnameria, la scuola per miratiri... e tante, tante altre piccole gocce da aggiungere al mare di bene che in modo silenzioso e nascosto continua ad essere fatto dappertutto nel mondo.  

Perchè non spendersi in Italia, perchè non immaginare una missione in Italia dove “ce n’è tanto bisogno”? E’ questione di vocazione da parte di Dio e di circostanze della vita che realizzano la vocazione o chiamata. L’amore di Dio non ha confini; il nostro amore, allo stesso modo, non deve avere confini. La nostra Chiesa è cattolica, quindi universale e non ha confini;  se apparteniamo alla Chiesa cattolica la nostra azione, allo stesso modo, non deve avere confini. 

L’amore di Dio è infinito, il nostro invece è limitato: non possiamo amare con la stessa intensità due spose, non possiamo amare con le stesse azioni in due luoghi differenti nello stesso momento. Eppure l’essere situati in un luogo ed in un tempo specifico fa sì che siamo complementari e solidali gli uni agli altri arricchendoci reciprocamente piuttosto che separati ed impoveriti gli uni dagli altri. La fede di chi sta in Italia arricchisce la mia e quella di chi è con me oggi...  e viceversa; la carità di chi sta in Italia aiuta me e chi è vicino a me oggi... e viceversa. Se il “flusso” fosse di sola andata non sarebbe un camminare nella fede. Anche il fiume facendo scorrere le sue acque non si esaurisce, ed andando al mare non lo riempie: c’è sempre un ritorno ed una osmosi. Ed alla fine dei conti è Dio che opera e non noi, magari “attraverso noi”, ma non “noi”. Ecco allora la meraviglia che l’Italia, ed il nord Italia, terra di innumerevoli missionari, diventa oggi terra che ha bisogno di sacerdoti provenienti dall’Africa.

L’apostolo Paolo in una delle sue lettere diceva che l’aiuto di una chiesa all’altra non è questione di impoverire l’una per arricchire l’altra, ma di fare equilibrio e di manifestare il reciproco “prendersi cura”.  
Per quel che riguarda le vocazioni al sacerdozio, con sofferenza da anni constatiamo in Europa il vuoto dei seminari, compreso il nostro dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, mentre qui in Congo abbiamo un numero così elevato di vocazioni e ci piange il cuore non poterle tutte accogliere. Al contrario soffriamo la mancanza di mezzi economici sufficienti per prepararle adeguatamente con gli studi necessari, ance se sappiamo che non sono gli studi che fanno il buon discepolo.
Le comunità cristiane di antica data necessitano della freschezza e dell’entusiasmo dei nuovi popoli che si affacciano alla fede e c he sono più capaci di cogliere la novità dirompente del Vangelo che non permette di sedersi soddisfatti per ciò che si è già e che si rischia invece di perdere; le nuove comunità cristiane necessitano della saggezza e del sostegno di quelle di lunga data per far tesoro dell’eperienza che permette loro di evitare di camminare invano o di cadere negli errori già vissuti.  
Non rimpiango la scelta missionaria, sono contento di esser qui in Africa. Non ho “tagliato” con l’Italia, so di avere con me la mia famiglia, i confratelli della congregazione,  molti amici ed amiche, associazioni, gruppi... molti fratelli nella fede. So che la missione rimane una “sfida” sotto molti aspetti, e questa sfida va affrontata. Attendo con gioiosa fiducia e con cuore giovane il domani.