Un nostro confratello
ha effettuato un viaggio in Madagscar,
e mentre era assente parliamo di lui assieme a due giovani che hanno già
ottenuto il loro “Diplome d’Etat” ossia hanno già superato l’esame di maturità.
Nella conversazione domando loro se sanno dové il Madagascar e se possono
indicarlo su di una carta geografica che è appesa al muro. Con gande stupore
(mio) e un pò di imbarazzo (loro) non riescono a mettere il dito sul punto giusto,
l’isola del Madagascar. Tento allora con qualcosa di più facile, se possono
indicarmi dovè il continente Africa, e stavolta è il disappunto quando vedo
l’incertezza regnare fino a puntare l’America del Sud piuttosto che l’Africa.Questo episodio mi stuzzica ed inizio qualche riflessione, innanzitutto sul livello oramai degradato degli studi: anche coloro che sono regolari alle lezioni, alla fine del loro percorso si ritrovano con palesi lacune e talvolta senza aver svolto una parte importante del programma o senza aver assimilato numerosi punti elementari. E’ pane comune ridurre la scuola a banco di commercio dove si acquistano e si vendono i punti e le promozioni o dove si vedono gli alunni ridotti a mano d’opera a buon mercato nei campi da coltivare dei professori; senza tralasciare gli insegnanti dimenticati e malmenati dal loro primo datore di lavoro che è lo Stato, costretti a mille manovre e arrangiamenti per sbarcare il lunario sulle spalle di una nobile professione e vocazione che è l’educazione e l’insegnamento. Infine i genitori oramai stanchi di essere chiamati in causa per ogni cosa: la costruzione delle aule scolastiche, l’acquisto dei manuali per gli insegnanti, l’autofinanziamento per i banchi degli alunni, la quota mensile per garantire una remunerazione minimale agli insegnanti...
In buona sostanza sono questi i motivi che ci hanno spinto
alla realizzazione del progetto “Institut Ste Marie”, la scuola superiore che
vuole raccogliere la sfida dell’educazione poichè, come detto, in causa non è
solo l’insegnamento della geografia ma le basi stesse dello sviluppo che
poggiano sulla trasmissione del sapere. Una nuova generazione senza istruzione
è una generazione alla quale è stata privata l’eredità che gli spetta: il
sapere delle generazioni che l’hanno preceduta, ed è ora costretta a ricominciare
da zero. Avremmo dovuto inaugurare il nostro “Institut Ste Marie” in questo
mese di settembre ma il responsabile degli studi ha avuto un piccolo incidente
ed è stato costretto ad un viaggio per cure mediche. La data è quindi
riportata, ma tutto è al posto giusto e salvo qualche rifinitura l’essenziale
c’è. Le lezioni hanno ben cominciato, con le due sezioni per il momento: le
magistrali (pedagogie) e il corso
professionale del “taglio e cucito”. Le sale sono riempite, gli studenti
accorrono per iscriversi, i genitori sono contenti di inviare e sostenere i
loro ragazzi e ragazze (sempre troppo poche in proporzione ai maschi) in una
scuola che promette di dare ottimi risultati, che non riduce gli studenti al
lavoro manuale, che non inventa ogni giorno nuovi balzelli, che paga con
regolarità gli insegnanti. Un GRAZIE ENORME e sincero a tutti quanti hanno
contribuito: i benefattori, gli operai, gli studenti stessi, gli insegnanti...
Una scuola così ben costruita e ben funzionante è difficile vederla nel raggio
di qualche centinaio di chilometri. Con l’aiuto del buon Dio non deluderemo e
non saremo delusi.
A partire dalla iniziale isola del Madagascar e dalla carta
geografica del mondo vorrei aggiungere una riflessione sulla “rappresentazione
della realtà”, ossia sul processo di apprendimento che ci permette di chiamare
le cose con determinati nomi o segni (simboli, immagini) e a collocarle in un
deteminato contesto di significati e di valori. Tra noi umani stipuliamo delle
convenzioni, e ci accordiamo nel pronunciare un suono che chiamiamo “nome” e quando
l’abbiamo pronunciato esso ci permette di
pensare a quella cosa sulla quale abbiamo convenuto e che abbiamo abbiamo vista
o gustata o toccata oppure sperimentata o ancora semplicemente immaginata
perchè ci è stata raccontata. Ecco che chiamiamo Madagascar una porzione di
terra e di abitanti, un luogo geografico determinato e che rappresentiamo con
un segno grafico su di un foglio bianco e lo circondiamo di azzurro per
significare che è un’isola e tutto attorno è il mare. Già tutto questo domanda
una serie impensata di convenzioni, di accordi taciti tra gli uomini e di
istruzioni di modo che chiunque, in qualsiasi parte del mondo, sia stato
istruito in questo modo possa indicare al suono “madagascar” un punto preciso in un foglio disegnato e
colorato ed immaginare una terra concreta, degli uomini, una lingua e via
dicendo. Non è certamente il Madagascar (fatto di terra e di acqua, di piante,
animali ed uomini...) quella piccola
porzione di carta colorata su quel foglio incorniciato appeso al muro e non è
certamente “là” il Madagascar quando lo indico con il dito. Ma neppure sono in
torto quando studio l’Africa e mi rappresento la realtà con l’aiuto di una carta
geografica o di qualche fotografia. Mistero e potenza delle parole e dei
simboli, mistero e potenza del linguaggio e della comunicazione. Poter
significare qualcosa che è ben reale, senza tuttavia poterlo ridurre alla
parola che lo pronuncia e lo evoca e senza poterlo ridurre al simbolo che lo
rappresenta. Siamo nell’anno della fede, secondo la Chiesa cattolica, ed allora
mi domando quale potenza e mistero si possono nascondere e rivelare allo stesso
tempo pronunciando la parola Dio? La riflessione adesso potrebbe farsi troppo
lunga, ma sarà senz’altro interessante.