martedì 28 aprile 2015

Séraphin



Siamo aumentati di numero dal mese di febbraio, un nostro nuovo confratello ci ha raggiunto. A tutt’oggi la nostra comunità conta quatto membra, io il più anziano, p. Zéphirin al suo terzo anno a Babonde, fr. Fréderic che, terminato l’anno di stage riprenderà gli studi di teologia il prossimo ottobre, e il nuovo sacerdote p. Séraphin, ordinato a Kisangani all’inizio del mese di gennaio. Ha una buona stazza e non sembra affatto un prete novello, ci darà una grossa mano per la pastorale nella nostra vasta missione e soprattutto nel prendere la responsabilità dell’Istituto Ste Marie , la nostra scuola superiore che di anno in anno aumenta nel numero di allievi e di classi.
Questo ci preoccupa un pò in quanto occorre riaprire il cantiere e pensare a qualche nuova costruzione per permettere a tutti di entrare in un’aula e sedersi su dei banchi convenienti.

“Da dove vieni?”, “dove sei nato?” é la domanda che spesso si sentono rivolgere i nuovi arrivati a Babonde, preti congolesi compresi. 

E’ quello che succede a p. Séraphin in questi giorni, quando per la prima volta incontra le persone ed i catechisti di qualche villaggio della nostra missione. Queste domande manifestano una legittima curiosità ma anche necessità di collocare lo “straniero” tra le persone amiche, tra coloro di cui ci si può fidare, o al contrario, tra le persone di cui occorre fare attenzione se non da trattare con una certa diffidenza. Collocazione in base alla provenienza. Talvolta è sufficiente parlare lo stesso dialetto per potersi chiamare fratelli e simpatizzare, e darsi spontaneamente una mano con grande generosità e apertura, o al contrario sentirsi spinti ad un certo distacco se non addirittura disprezzo, se si appartiene a qualche tribù nei confronti della quale “non scorre buon sangue” a causa di antecedenti spiacevoli o di pregiudizi ancestrali.

Per noi preti e missionari, europei o africani, il fatto di appartenere alla stessa famiglia religiosa, il fatto di essere inviati in territori dove non si parla la medesima lingua appresa in famiglia, il fatto di essere spinti in luoghi lontani non da interessi particolari ma dal dovere dell’annuncio del Vangelo, il fatto di appartenere alla stessa fede cristiana è senz’altro una leva importante per superare quelle barriere culturali, umane, spesso irrazionali, che separano ed oppongono gli uomini fino a farli divenire classisti e discriminanti, se non razzisti. 
E questo è vero non soltanto per quel che riguarda il rapporto tra bianchi e neri, ma è vero per tutti i rapporti senza distinzione, in quanto come una sorta di istinto innato fa sì che - appunto senza razionalità e senza motivo - ci si opponga e ci si schieri in base ad appartenenze che non hanno motivo di esistere. Durante gli studi di teologia a Bologna talvolta ci si trovava a riflettere in base all’appartenenza regionale, la provenienza dal Nord o dal Sud dell’Italia, dalla Lombardia o dal Veneto, da Roma o da Milano.
Da dove tutta questa facilità a separare, dividere ed opporre? Qui a Babonde dove gli studi di psicologia sono scarsi si può sentenziare con una certa sicurezza ed affermare che tutto ciò è “Matunda ya Shetani”, è “Frutto del Maligno”. Già, può essere deviante addossare tutte le colpe al Maligno, ma non si può negare che c’è come un tarlo che rode dentro e consuma il bene, l’armonia e l’innocenza che sono di Dio.

Tanti auguri p. Sérephin e buon lavoro, ricco di frutti, qui a Babonde. Indipendentemente dal luogo della tua nascita e dalla tribù di appartenenza sarai ben accolto ovunque a Babonde.