giovedì 21 maggio 2020

CONFINEMENT


2 gradi Nord dalla linea dell’equatore : in apparenza tempo di pandemia anche a Gbonzunzu. Dalla fine del mese di marzo scuole chiuse, di tutti gli ordini e gradi. Nelle chiese e altri edifici di culto vietate le celebrazioni, possibili solo a qualche “intimo”. Tutto il resto? normale! Applicazione alla congolese del confinement, parola presa dal francese che tutti possono in qualche modo ben interpretare o tradurre, ma a scanso di equivoci ecco cosa dice il dizionario: “Procedura di sicurezza che mira a proteggere le persone all’interno di spazi chiusi in modo da evitare un qualche contatto con una nube tossica o la propagazione di una malattia infettiva”.


Applicazione alla congolese, dicevamo, in quanto con estrema rapidità il confinement è stato intimato su tutto il territorio (otto volte più grande dell’Italia) senza badare a dove i casi di contagio sono realmente e geograficamente presenti, senza prevedere nessuna gradualità circa le norme di applicazione, anche se al momento la quasi totalità dei casi – 1500 circa a metà maggio – è localizzata nella sola capitale Kinshasa che è pressoché l’unico punto di ingresso per i voli aerei internazionali, dovutamente sospesi assieme a tutti quelli nazionali. La prudenza obbliga al rispetto del decreto presidenziale e dello Stato d’urgenza, ma piange il cuore constatare che è un ‘restare a casa’ fittizio poichè commerci, punti di incontro e di svago, mercati e celebrazioni familiari – vedi le cerimonie in occasione dei funerali di congiunti – continuano come d’abitudine mentre al contrario le uniche realtà veramente penalizzate sono le realtà educative della scuola e della vita di fede. Se è bene confinare la popolazione là dove il virus si manifesta è difficile comprendere il perchè del chiudere due attività così importanti lasciando a tutto il resto la libertà di continuare normalmente quindi senza un reale confinement. Pazienza. Viviamo nella speranza.

Sfollati di questi giorni all'est de Congo RDC
Speranza innanzitutto che il virus non arrivi all’interno della nostra foresta poichè le strutture sanitarie e le capacità di cura nelle zone rurali sono totalmente aleatorie. A tutt’oggi, dopo più di un mese dall’inizio dell’emergenza non un solo test è disponibile in un raggio di duecento chilometri, non un solo equipaggiamento di protezione è stato fornito al personale medico, nessun medicinale specifico è disponibile gratuitamente, quindi, speriamo bene. Le sale di rianimazione e le apparecchiature per facilitare la respirazione si contano sulle dita di una mano per un’immensità di territorio e di possibili futuri pazienti.
Speriamo nell’assennatezza delle nostre autorità che spesso non danno prova di buon senso e realismo. Quelle scolastiche, per dare un esempio, hanno avuto il coraggio di annunciare la realizzazione di moduli educativi via internet. Di che prendere in giro la popolazione pensando all’infima percentuale di persone che dispongono di un computer o di un tablet e di una connessione decente. Molte decisioni e dichiarazioni sembrano semplicemente imitare le nazioni europee francofone di riferimento come il Belgio o la Francia ma che risultano inapplicabili sul nostro territorio. Un vero confinement nella megalopoli Kinshasa che si stima conti all’incirca nove milioni di abitanti, è semplicemente impossibile poichè la stragrande maggioranza della popolazione vive alla giornata portando a casa la sera il necessario di che mangiare. Restare a casa significherebbe condannare alla fame tutte queste persone e alla fine risulterebbe impossibile.

Solite code alla sorgente per rifornirsi d'acqua
Speriamo che gli aiuti internazionali che cominciano ad arrivare siano gestiti in modo trasparente e a profitto del sistema sanitario congolese e a beneficio dei malati, vincendo la triste prassi che privilegia il bene personale – leggi corruzione - a scapito del bene comune.
Speriamo in un benedetto vaccino perchè dopo ebola, con il persistere della tubercolosi e con la malaria che continua ad imperversare – per la quale un vaccino non è stato ancora trovato malgrado lungi anni di ricerca – il coronavirus sembra davvero un di più, di cui non c’era affatto bisogno. E tuttavia se pensiamo a quella malattia endemica cui siamo assolutamente abituati, la malaria possiamo argomentare che di malaria si muore; di malaria ci si ammala; dalla malaria ci si cura e si guarisce. Di malaria ci si ri-ammala di nuovo. Della malaria non c’è ancora un vaccino nonostante le numerose ricerche scientifiche e gli ingenti investimenti. In ultima analisi, con la malaria occorre conviverci al momento e da un sacco di tempo. Sarà la stessa cosa anche per il COVID19?

Speriamo infine che dopo oramai due mesi di confinement ‘apparente’ se mai dovesse arrivare veramente l’emergenza sanitaria dovuta al virus, la popolazione sia davvero capace di rispettare le norme sanitarie basilari necessarie.
Per intanto a 2 gradi nord dell’equatore stiamo bene, malgrado la sottile paura che serpeggia negli animi attendendo un peggio che presto o tardi dovrebbe arrivare. Ci preoccupiamo di quello che avviene in Europa e in molti altri paesi del mondo con il numero impressionante di contagiati e di morti. Abbiamo ‘sete’ di riprendere l’ascolto comunitario della Parola di Dio che educa, illumina e guida. Abbiamo ‘fame’ di comunicare all’Eucaristia per rinsaldare fraternità e prospettive di vita eterna. Infatti tra tutte le realtà di questo mondo solo poche tra queste riusciamo davvero a dominare e a dirigere. Siamo perciò abbastanza abituati a metterci nelle Sue mani poichè conduca Lui a buon fine tutte le cose, senza rinunciare a fare la nostra parte, ma riconoscendo il nostro limite.