sabato 23 dicembre 2017

PRENDERSI CURA



Un pò di “fresche vacanze” non guastano  - sono in Italia - e l’adattamento necessario non è stato subito facile poichè i 30 gradi quasi costanti di Babonde ed i tendenti allo 0 nell’inverno della pianura padana fanno uno scarto considerevole. Il clima rigido con una spruzzata di neve mi ha accolto come è normale che sia. Il ritorno in famiglia, le visite ed i saluti ai familiari, ai confratelli, agli amici... rivedersi è necessario e fa bene, recuperare i sorrisi, le storie, le vicende belle, insieme anche alle preoccupazioni e ai cambiamenti fatti o subiti. 

Bimbi che nascono e crescono tra le giovani coppie, ragazzi di una volta, capelli che imbiancano nelle generazioni che sono le nostre. Alcuni dialoghi necessari, altri interessanti, progetti, disillusioni insieme a conquiste, si fanno domande, ci si informa reciprocamente. Tra le altre spesso me ne vengono rivolte due, ricorrenti, ma che scontate non sono: “Cosa trovi di cambiato in Italia dopo questi anni?” e  “Che cos’è che è cambiato in Africa da quando sei partito?”.





Sorvolo un pò sulle domande, giusto per descrivere quelle che sono solo le mie “impressioni”. Riguardo alla prima domanda sembra che non molto sia cambiato nel panorama sociale, la stessa confusione e lo stesso sentimento di delusione rispetto ad un certo “degrado” delle idee e delle proposte politiche, lo stesso senso di insicurezza a livello economico, la stessa paura, dello straniero e del differente, una paura senz’altro cresciuta,. Noto anche la difficoltà sempre più accentuata di incontrare le persone gratuitamente, fuori casa, per strada, nei cortili. Magari appunto il clima invernale accentua questo mio sentire, ma sembra che gli abitacoli delle automobili in cui tutti sono rinchiusi nei propri viaggi, con i minuti contati senza spreco alcuno, le comunicazioni fatte grazie al solo elettronico o “virtuale”, gli appuntamenti serrati, ebbene abbiano come effetto di ridurre la possibilità del gratutito, del non programmato e di aumentare invece il disagio di fronte all’incontro imprevisto, casuale, che genera novità. E’ vero, tutto questo non toglie il desiderio e la necessità del fare comunità, dello stringere i legami, ma sembra quasi che le famiglie si chiudano in se stesse e le comunità frequentate facciano lo stesso accontentandosi di quanto è già stato costruito o sperimentato. 
La vita di fede da parte sua si fragilizza ed è vissuta sempre più privatamente, individualmente.  
Sommerso e poco appariscente si intuisce e si vede un mare di solidarietà e di bene, di gentilezza e di pazienza, fatto di tante persone e piccoli gruppi, di azioni private e di decisioni del “pubblico”, di braccia aperte e di azioni concrete che rassicurano i cuori. Nel disorientamento e nelle trasformazioni veloci della società non si è smesso di cercare e di nuovamente ricercare risposte di fede e di comunione, di valori e di bene, di diritti da difendere o da conquistare, di fraternità e di ricchezza da condividere. 

Qui in Italia stiamo nel mondo dei ricchi (7 a/8a potenza mondiale economica) ma tutti si sentono più poveri. Ecco appunto, se parliamo di ricchezza direi che questi anni nelle vicende varie delle bolle e speculazioni bancarie hanno insegnato che non sempre i soldi della pura finanza producono una ricchezza sana, possono essere mal utilizzati, svalutati o semplicemente conservati senza produrre beni o produrre del “bene”. Talenti non trafficati, bloccati dalla paura. Allo stesso modo la ricchezza umana e di fede che è patrimonio di tanti ha bisogno di non essere semplicemente conservata o difesa, ma condivisa. La fede se è condivisa si rafforza e così vale per ogni apertura.
 

Se ora veniamo alla seconda questione che spesso mi viene posta - cos’è che è cambiato in Africa da quando sono partito - mi sembra di cogliere nel sottofondo della domanda il desiderio di capire se la mia presenza in missione ha creato un cambiamento evidente, un sostanzioso miglioramento delle condizioni di vita delle comunità incontrate, qualcosa per cui è valsa la pena partire per il Congo e varrà la pena ripartire.    


Il missionario deve sempre fare attenzione a non cadere nella trappola psicologica di considerarsi in qualche modo il “salvatore” o la giusta “soluzione” delle situazioni che gli si presentano, equipaggiato di un di “più di sapere”, di maggiore forza economica, di un surplus di tecnica... Ma questo pericolo che è nel missionario può dimorare anche nei pensieri di chi pone la questione il quale pensa che vale la pena essere in missione solo se qualche cosa di risolutivo si potrà realizzare. Nel nostro animo umano ci compiaciamo di poter porre noi dei gesti o delle azioni che pensiamo essere finalmente “risolutive”. E’ vero, abbiamo bisogno di saper “generare”, noi, qualcosa. Abbiamo bisogno di sapere che noi abbiamo fatto e che senza di noi non sarebbe stato fatto. 
Certo “generiamo”, ma attenzione, mai da soli. Certo diamo alla luce, e poi ci stupiamo che quel qualcosa o colui a cui abbiamo dato vita cammina da sé, anche senza di noi, e domani sarà certamente più veloce senza di noi. Certo dobbiamo fare qualcosa di importante della nostra vita e con la nostra vita, consapevoli tuttavia che quanto facciamo rimane sempre goccia che si aggiunge all’acqua del mare, pur composta dall’insieme di tali gocce. Molto più banalmente: tutti importanti nessuno indispensabile.

Vale la pena ricordare qui come ci “riposiziona” la spiritualità cristiana e la nostra fede poiché senza il Signore “non potete fare nulla” (Gv 15,5) e, con molta umiltà e realismo, è ben giusto dichiararci “servi inutili” (Lc 17,10).
E’ allora vero che in questi anni abbiamo potuto aiutare efficacemente tanti poveri ma “i poveri li avrete sempre con voi”  (Mt 26,1).  Ed è ugualmente vero che ora c’è una bella scuola a Babonde, ma manca ancora a Yambenda, Gbunzunzu, Bavamabutu, Nitoni ed in mille altri posti. E’ vero che nell’ospedale abbiamo un ecografo e qualche altro materiale nuovo, ma molto di più è quello che manca nell’ospedale di Babonde ed altrove. 

E’ancora vero che per curarsi occorre sempre pagare quei soldi che troppo spesso non ci sono ed è vero che ancora troppo numerosi sono i bimbi malnutriti. Qualcuno potrà attingere acqua potabile da sorgenti risistemate mentre altri, senza, continueranno a combattere contro quei parassiti e amebe di cui si conoscono bene i nomi ma che non si riesce a sconfiggere. 

Di fronte alla domanda di cosa sia cambiato in questi anni possiamo dire che con l’aiuto di tanti abbiamo realizzato azioni di bene, che sono stati costruiti ponti ed accesi fuochi di speranza, che molti hanno studiato, molti sono stati “salvati”, guariti, anche se necessariamente torneranno ad ammalarsi. Possiamo allora dire che la cosa più importante è stata, è e sarà il “prenderci cura”. Farci vicini o “prossimo” senza pretesa di avere per ogni cosa la soluzione risolutiva. Capaci di ascolto, sapendo imparare, dare e ricevere. 
Prendersi cura gli uni degli altri, consapevoli dei limiti di tutte le azioni e della nostra natura, che sono anche i limiti di questo grande e “dis-graziato” paese che è il Congo.
Insieme al limite abbiamo anche coscienza delle risorse perchè con gli aiuti ed con le azioni di bene abbiamo potuto portare l’ “Aiuto” ed il “Bene” che è il Cristo, lui che vince la dis-grazia, ogni dis-grazia con la sua Grazia ed è capace di creare “la soluzione”. 

Nelle lunghe liturgie africane (due/tre ore e mezza) è un gruppo di bimbe, chiamate in francese joyeuses (gioiose),  che aprono la processione di ingresso. Il ritmo della loro danza si può sintetizzare con “due passi avanti ed uno indietro”. A loro modo anch’esse contribuiscono alla lunghezza della liturgia. Tuttavia, seppur lentamente, si arriva all’altare! Musica e danza sono troppo importanti nell’espressione dello spirito di fede dei credenti in Africa. Lentamente ma gioiosamente si avanza. 
Due passi avanti ed uno indietro è il simbolo di questo paese e di tutto quanto si realizza in esso e forse nel mondo intero. 
In questi anni di Congo il numero dei missionari che vi operano continua a diminuire, il numero delle vocazioni locali al contrario non ha cessato di aumentare. E’ anche questa una ragione che mi permette di vivere il natale qui in Italia invece che a Babonde: altri confratelli mi stanno sostituendo. Non mancano i missionari africani già sparsi per il mondo. Sarà loro l’evangelizzazione del continente asiatico? Chissà quante cose nuove ancora nasceranno. 

Senza avere soluzioni in tasca prendendiamoci cura gli uni degli altri, come in questi giorni tutti sembrano prendersi cura di un bimbo-Gesù, sapendo molto bene che, al contrario, è invece lui a prendersi cura di tutti noi: Buon Natale a tutti.

mercoledì 25 ottobre 2017

Ottobre, i Pigmei e la dimensione tempo.



A quando l’inizio dell’anno scolastico? Verrebbe di rispondere velocemente: In settembre naturalmente!

Già, sul calendario e sulla carta è così, la realtà in effetti è molto più complessa e variegata. Giusto la settimana scorsa, a ottobre inoltrato i responsabili della “pastorale pygmei” nel settore scuola, si sono incontrarti per fare il punto della situazione e dare il via alle attività di alfabetizzazione e scolarizzazione dei bambini pigmei. 


Occorre una cura particolare per i bimbi pigmei in quanto marginalizzati ed economicamente al di fuori del circuito normale della maggioranza della popolazione di ceppo bantu. Hanno delle abitudini seminomadi, sono sempre in difficoltà nell’entrare a scuola, nel perseverare e nel terminare l’anno. 
Spesso i genitori sono nell’incapacità di aiutarli anche se possono desiderare la scolarizzazione dei loro bimbi.

Quindi l’anno scolastico inizia a settembre, a ottobre o un pò più avanti?


Come sapete bene la nozione di tempo in foresta è un concetto relativo, difficilmente catalogabile con i mesi lunari seguendo il calendario. In questo momento, ottobre, è terminata la stagione dei bruchi che si raccolgono e mangiano in quanto ricchi di proteine, per quel che riguarda il gusto, beh non è da discutere ed in ogni caso ci si abitua.

Dopo i bruchi viene la stagione delle pioggie, quelle abbondanti precedute da un forte vento capace di scoperchiare i tetti delle case.
A voler seguire i pigmei,

e gli si può far fede, dopo i bruchi viene il periodo dei fungi ed in seguito, con la stagione secca, si potranno raccogliere i pesci approfittando dei ruscelli ormai in scarsità d’acqua. Un pò più tardi sarà il momento del miele di foresta e del ringraziamento a Dio perchè in ogni momento, attraverso la natura, elargisce i suoi abbondanti doni ed il cibo. Quindi verranno le formiche volanti nelle notti precedute dalla pioggia, catturate attorno a dei fuochi accesi apposta per attirarle in grande numero, anch’esse molto saporite.



In questo contesto parlare dell’inizio ufficiale delle lezioni il giorno 4 del mese di settembre suona giusto come una sommaria indicazione. Nei villaggi dell’interno gli insegnti potranno sedere per lunghe giornate all’interno di aule completamente vuote attendendo l’iscrizione e l’arrivo degli alunni, che siano bantu o pigmei poco importa e poco cambia.
L’arrivo dei primi tra di essi darà l’annuncio reale che il tempo della scuola è davvero cominciato, il tempo di cercare l’uniforme (il grembiule scolastico) i quaderni e le penne.


Senza ansia, senza patemi per un ritardo che non è immediatamente comprensibile anche perchè spesso l’aula è da rifare e i banchi, fatti di legno dolce locale, da produrre di nuovo.

Coloro che siederanno a lezione, provenienti da famiglie per lo più numerose, saranno spesso solo alcuni tra i pochi fortunati scelti o selezionati tra i molti in età scolare. I restanti fratellini e sorelline andranno a scuola in uno degli anni a seguire, il tutto senza troppo drammatizzare (purtroppo!). Difficile infatti pensare a tutti allo stesso momento provvedendo il necessario. Che qualche bambino più grande rimanga a casa è infine utile se non indispensabile per le molte faccende e soprattutto per accudire i fratellini più piccoli liberando un pò la mamma oberata dalle mille preoccupazioni e dai lavori dei campi.

Ebbene, per ritornare all’incontro di ottobre con gli insegnanti della “pastorale pigmei” e ai bimbi pigmei, con grande soddisfazione anche quest’anno, come nell’edizione 2016/2017 siamo riusciti ad accogliere in classe e far accedere all’insegnamento scolastico all’incirca 550 bambini e bambine soprattutto nei primi tre anni di scuola primaria (elementare), distribuiti o sparpagliati su 24 differenti siti. Alcuni di questi siti sono delle scuole normali di bimbi bantu, dove i bambini pigmei sono facilitati ad inserirsi. Altri siti sono delle apposite aule costruite in prossimità dei loro accampamenti. Tutti potranno avere quaderni e penne, un buon numero riceverà l’uniforme e i loro insegnanti saranno sostenuti economicamente con una piccola ricompensa, poiché nella Repubblica Democratica del Congo è compito dei genitori provvedere al salario di un gran numero di insegnanti. Qualche libro di testo è stato procurato, le lavagne, i gessi, i banchi. Pochissimi tra i bambini pigmei sono coloro che perseverano fino al quinto e sesto anno della scuola primaria, tuttavia con grande soddisfazione una decina di ragazzi e ragazze sono già inseriti alla scuola secondaria/superiore con la speranza che in un futuro prossimo saranno loro stessi gli insegnanti dei loro piccoli fratelli. Dobbiamo ringraziare in questo i gruppi e le associazioni che ci sostengono assieme a tante persone di buona volontà e di buon cuore.


Tutto lascia ben sperare anche se sappiamo che il compito dell’educazione e dell’istruzione è un lavoro di lunga lena e appunto...  non ha tempo! Noi cerchiamo di piantare semi con abbondanza sperando e sapendo che il “padrone della messe” farà crescere e maturare con altrettanta abbondanza a tempo voluto.

martedì 15 agosto 2017

"Neema, Shangwe na Furaha"

"Neema, Shangwe na Furaha": "Grazia di Dio, accalmazioni di Festa e Gioia"
La consacrazione sacerdotale del diacono Jean-Christophe Lingombe il 12 agosto e la sua Prima santa Messa il 13 agosto a Babonde sono avvenimenti oramai già realizzati. La grazia sovrabbondante che viene da Dio, la misericordia e la fiducia che accorda agli uomini per continuare il ministero del suo Figlio Gesù non cessano di meravigliarci. Una ricca corona di confratelli diaconi e preti del Sacro Cuore di Gesù, della congregazione della Consolata, della diocesi, insieme al fratello Mpembele André e a numerose suore hanno circondato il candidato consacrato dal Vescovo di Wamba Kataka Janvier. E' il primo prete della nostra congregazione nativo di questa parrocchia di Babonde, ma numerosi sono i giovani che lo stanno seguendo. I nostri anziani padri missionari, pionieri dell'annuncio del Vangelo su queste terre, hanno seminato con abbondanza. Per noi è il tempo della raccolta e del ringraziamento. Continuando a seminare ancora. Nella festa e nella gioia che Dio sia lodato.

     "Neema, Shangwe na Furaha".


L'ordination presbytérale du Diacre Jean-Christophe Lingombe le 12 aout et la sainte Messe de prémices le 13 août à Babonde sont déjà des faits accomplis. La grâce surabondante de la part de Dieu, la miséricorde et confiance pour accorder aux hommes la continuation du ministère de son Fils Jésus, ne cessent de nous émerveiller. Une riche couronne des confrères diacres et prêtres, du Sacré Cœur, de la Consolata, du diocèse, ensemble au frère Mpembele André et nombreuses sœurs a entouré le candidat ordonné par l'Evêque de Wamba Kataka Janvier. Est le premier prêtre de notre congrégation natif de cette paroisse de Babonde, mais nombreux jeunes sont à la suite. Nos anciens pères missionnaires, pionniers de l'annonce de l'Evangile sur ces terres ont semé avec abondance. Pour nous c'est le temps de la récolte et du remerciement. Sans cesser de semer encore. Dans la joie, que Dieu soit loué.





venerdì 28 aprile 2017

Saonara


Alcuni ci leggeranno senza conoscere ancora se Saonara è una parola straniera di una qualche lingua africana come il Kiswahili o se è invece una “deformazione” di un saluto orientale. Molti altri invece conoscono Saonara come tranquillo paese (villaggio) alla periferia di Padova nel quale anch’io sono nato. Voglio rendere un piccolo omaggio a questo nostro paese che ci ha dato le origini e lo faccio motivato dal fatto che in questi giorni la corrispondenza è fitta con alcuni dei nostri compaesani. E’ infatti in questa settimana che l’ospedale di Babonde e la scuola secondaria e professionale di Babonde ricevono due aiuti molto concreti per poter rendere un migliore servizio rispettivamente ai malati dell’ospedale e agli studenti della sezione di falegnameria: un gruppo elettrogeno per l’ospedale da una parte e degli utensili elettrici per la scuola dall’altra.

Con le disponibilità economiche locali queste realizzazioni sarebbero rimaste dei sogni da cullare per numerosi anni. Ed invece Saonara risponde all’appello attraverso la generosità dell’associazione Seniors e attraverso una altrettanto generosa colletta di alcuni amici. Assieme a loro già “citati” mi pare giusto ricordare in questo frangente molti altri che occasionalmente o regolarmente fanno sentire la loro concreta presenza: l’Associazione Alpini, il Gruppo Missionario, i familiari, la Parrocchia e molti, molti altri, talvolta semplicemente dei conoscenti. Con tutti c’è una sintonia  immediata ed una collaborazione  fruttuosa che si crea.
Tuttavia, guardando più in profondità non è la semplice comune origine geografica che ci avvicina, è invece quel comune fondamento di fede, esplicito o implicito, professato o negato che crede nella solidarietà nell’amore e nella condivisione, e tutto questo è umano e divino, fa parte di un tessuto quotidiano di azioni di tutti i giorni ma attinge ad una sorgente che viene dall’alto. E’ normale e straordinario insieme.
Grazie a questo movimento nei giorni scorsi abbiamo potuto consegnare i “doni” ricevuti. Occorre dire che indipendentemente dalla loro “grandezza” e “peso”, questi doni, ogni dono, crea gioia, speranza ed educa-genera altrettanta generosità.
Inutile aggiungere altro.

Grazie Saonara.


mercoledì 26 aprile 2017

Ostaggi




Da due anni a questa parte sono regolarmente in viaggio per Kisangani, ogni due mesi circa, ed ogni volta è un’avventura, senza eccezione. E’ il lunedì di Pasqua verso le sei del mattino che mi metto sulla pista, in moto, per percorrere in cinque ore i 150 chilometri che ci separano da NiaNia, villaggio carrefour (incrocio) dove dovrei prendere il Bus sulla “Grande Route” dell’Ituri, fino a Kisangani. Purtroppo mi informano che fino al pomeriggio del giorno successivo nessun Bus è in programma, nonostante numerose compagnie si siano affacciate sul mercato del trasporto passeggeri: “La vie est un combat”, “Na Ngolo Coach”, “Classic”. “Dissa”... L’alternativa? Qualche vettura occasionalmente di passaggio, che acquistata in Uganda a buon prezzo giunge “via strada” fino a Kisangani e prosegue fino a  Kinshasa via battello, sul fiume Congo. L’autista lungo il percorso carica abusivamente dei passeggeri di fortuna e mette da parte qualche guadagno extra. Per me sarebbe una buona occasione. Percorro il centro di NiaNia, ma nessuna traccia di queste vetture. 

Mi indirizzo allora al Parking, dove sostano dei “minibus”, furgoncini della marca Toyota che attendono i “clienti” fino a completare il “carico” di una quindicina di passeggeri con i loro bagagli. Sono fortunato. Il minibus in attesa è già quasi carico e potrà iniziare il viaggio nel lasso di tempo di un’ora, l’intervallo giusto per  mettere in custodia la moto, cambiare i pantaloni infangati e prepararmi alla seconda parte del viaggio. Il prezzo è buono, una trentina di dollari per i 340 chilomentri di questo tratto, e mi è riservato un posto davanti tra l’autista, un giovane di una trentina d’anni non ancora raggiunti e il “gerant”, che ha il compito di “gestire” i passeggeri e pagare “pedaggi”, tasse e balzelli. 


Un’altra delle incredibili contraddizioni del nostro Congo: se vuoi andare da Bukavu, città congolese di frontiera, a Kigali capitale del Ruanda, trovi appena due militari ruandesi e nessun congolese per gettare uno sguardo veloce al passaporto, ma se devi passare da una Provincia all’altra all’interno della medesima RDCongo ti imbatterai in una serie interminabile di posti di blocco, controlli e dazi da pagare: 
DGM (Direzione generle della Migrazione), DGI (Direzione Generale delle Imposte) ed ancora DGRAD, DGRPI, DGRHU , la Polizia stradale, i Militari... una via crucis con un numero sproporzionato di stazioni che di fronte alla finalità esibita di garantire la sicurezza e raccogliere le imposte per lo stato, ha invece l’unico scopo di raccogliere delle piccole mance a favore degli ufficiali dello stato che vi lavorano e a favore dei loro superiori.  


Alla partenza effettuiamo il rifornimento di benzina con i soldi appena raccolti e lungo la strada, alle differenti soste, “imbarchiamo” qualche ulteriore passeggero da far salire stavolta sul portabagagli posto sul tetto del minibus.

I nuovi ma “ultimi” viaggiatori potranno ben accomodarsi sopra un materasso steso per l’occasione. Anche il nostro “gerant” ad un certo punto cede il suo posto ad un cliente per salire a sua volta “in cima”... questo gli permetterà di avere qualche soldino in più in cambio di una buona vista panoramica, aria fresca ed una ginnastica non invidiabile come il salire e scendere qualche decina di volte, senza scaletta, dal tetto del minibus. 

A circa metà tragitto un veicolo che incrociamo si/ci ferma e ci mette al corrente di un camion rovesciatosi al chilometro 170 da Kisangani. Poichè anche i grossi camion trasportano numerose persone al di sopra del carico di merci, questo tipo di incidenti può rivelarsi mortale. Ed infatti ci preavvisano che quando il minibus arriverà sul luogo probabilmente saremo sollecitati a prendere una delle due persone che sono morte sull’incidente. Il nostro giovane autista che a partire dall’inizio del viaggio non ha smesso di sorseggiare una bevanda leggermente alcolica (11 %) e comincia ad essere psicologiamente debole, è preso dal panico di dover caricare una salma, e quando arriviamo sul luogo, lui tira diritto ignorando i segnali di stop. 

 Da un certo punto di vista ci meravigliamo spiaciuti, da un altro punto di vista siamo contenti di non aver a che fare con un cadavere, tra l’altro è già tardi e se arriviamo dopo le ore 23.00 all’ultima barriera posta a 23 chilomentri prima di entrare in Kisangani, saremo costretti a passare la notte all’aperto, in quanto nessuno ci aprirà la strada dopo quell’ora. Ed effettivamente arriviamo giusto un quarto d’ora prima del blocco e riusciamo a passare senza problemi. Ma ecco che il nostro autista ha un altro asso nella manica da giocarci: ci rimangono solo 10 chilometri per guadagnare ciascuno le poprie abitazioni, toglierci il centimentro di polvere rossa che abbiamo accumulato sulla pelle, ma ecco che il “nostro” oramai ubriaco fradicio decide di arrestarsi. Ha visto un bar aperto e dichiara solennelmente che passeremo la notte lì. Parcheggia il minibus, si siede al tavolo e chiede qualche birra da bere. Incredibile, siamo ostaggi di un ubriaco, davanti un bar costruito con due vecchi container di ferro e all’intorno il buio e la foresta.

Il “gerant” tenta di farlo ragionare di convincerlo a riprendere la strada ma senza riuscirci... e forse bisogna dire “meglio così”, per non incorrere anche noi in un qualche incidente o rovesciamento di veicolo: finora tutto è andato bene. Qualcuno dei passeggeri che non aveva bagagli decide di percorrere a piedi gli ultimi chilometri. Qualcun altro ne approfitta per prendere anche lui una birra fresca, qualcun altro accenna dei passi di danza alla musica degli altoparlanti. I tre bimbi che viaggiavno con noi dormono su delle giacche stese per terra.

Non mi resta che chiamare per telefono qualcuno della comunità che a 24.00 ore abbondantemente passate venga gentilmente a prendermi. Tutto è bene quel che finisce bene, ma quanta incoscienza, leggerezza, dis-prezzo della vita! Una volta di più possiamo dire che siamo nelle mani di Dio. E quanta pazienza, pazienza, pazienza.

martedì 11 aprile 2017

Fuochi e Maendeleo

Di questi giorni le notizie preoccupanti in provenienza da alcune differenti zone geografiche del nostro Congo (RDC) rimbalzano sui media internazionali. Alcuni fuochi accesi ma il paese non è in fiamme. 

Si tratta innanzitutto dell’instabilità politica nella capitale Kinshasa, con l’intera classe politica al governo e all’opposizione che continua a stare “in sella” malgrado l’epirazione del loro mandato. La non-organizzazione delle nuove e necessarie elezioni permette agli eletti di oramai undici anni fa, di stare dove sono (governo e opposizione) godendo del potere o almeno di un salario, ed è oramai evidente la strategia di continuare all’infinito inutili e dilatori dialogi e mediazioni tra le parti, in quanto nuove elezioni metterebbero a repentaglio lo status quo a loro svantagio.

Un altro focolaio di disordini è situato nella regione del Kasai, dove militari e miliziani di una setta/partito politico si affrontano apertamente da alcuni mesi e dove si contano oramai qualche centinaio di morti, tra i quali due operatori dell’ONU di nazionalità americana e svedese. Nell’Est del paese altre “ribellioni” sono sempre sul punto di esplodere e le stesse forze dell’ordine o forze armate varcano il limite del loro ruolo di difensori della legge per stringere patti con i numerosi gruppi armati che infestano la zona rendendo difficili le comunicazioni, il trasporto di materiali ed il normale funzionamento del quotidiano ritmo di vita.

Fortunatamente noi abitiamo una zona interna, che rimane calma dal punto di vista “sicurezza”. Gli unici piccoli problemi vengono dalla polizia locale che arrotonda lo stipendio estorcendo contributi non dovuti dai viaggiatori che percorrono la strada principale, generalmente privi di documenti di circolazione. L’altro pericolo sempre in agguato è la situazione economica precaria che attanaglia la quasi totalità delle famiglie e che ha come effetti collaterali i periodici momenti di crisi per cui diventa quasi impossibile accedere alle cure mediche o garantire l’accesso alla scuola per i propri figli od una alimentazione equilibrata e sufficiente ai bimbi delle famiglie numerose.

A Babonde, in questa relativa tranquillità, continuiamo a visitare i villaggi che sono affidati alla nostra missione, preparando i cristiani a ricevere i sacramenti. Da alcune settimane abbiamo ricevuto in comunità un diacono nostro confratello, Joseph, che vivrà un’esperienza pastorale di alcuni mesi. Oltre ad aumentare il numero della nostra “famiglia” ci darà un buon aiuto nella visita ai villaggi e nella celebrazione dei battesimi.

Abbiamo cercato in questo periodo di rinnovare e rinforzare la commissione “Maendeleo”  che nella lingua Kiswahili significa “Sviluppo/Progresso”. In Francese  si traduce “Developpement” ed aggiungiamo l’aggettivo “durable”, “Progresso duraturo”. Il titolo della commissione è altisonante, addirittura sproporzionato rispetto alle possibili relaizzazioni in un contesto economico fragile abbandonato a se stesso.
In concreto con l’aiuto di un agro-veterinario abbiamo “importato” da un famoso centro di ricerca forestale ed agricola congolese – Iangambi, non lontano dalla città di Kisangani -  dei semi selezionati di caffé e di cacao. A partire dal mese di marzo abbiamo messo i semi nell’apposito terreno per la germinatura delle piantine in attesa di poterle poi mettere a dimora in quello che sarà il luogo definitivo in attesa della produzione dei frutti (4/5 anni per il cacao; 3/4 anni per il caffé).
E’ un investimento un  pò all’oscuro, un azzardo senza una orgnizzazione più ampia, statale. Per il momento dei privati aquistano il raccolto annuale e una piccola speranza si è aperta il varco: se la produzione sarà di una certa importanza potrebbero arrivare fino a Babonde. Per il momento lavoriamo sulla speranza, vedremo, se son rose... La commissione Maendeleo é coraggiosa ed entusiasta in questi mesi ed attende un successivo momento per lanciare un’altra iniziativa e cioé l’introduzione di qualche nuova semplice tecnica di allevamento di maiali e l’introduzione di una nuova razza. Alimentare la speranza non è mai sbagliato.


Il tempo è tiranno. Colgo l’occasione di questo post per agurare a tutti una Santa ed ogni anno migliore Pasqua.