venerdì 18 marzo 2011

Rivoluzione

puntamento dell'antenna
Le peripezie sono state molte ma alla fine siamo connessi al mondo intero. E’ una via virtuale? E’ una via reale? Molte menzogne si possono veicolare attraverso l’etere ma rimane pur vero cha la comunicazione c’è, ce n’era bisogno e tenteremo di farne buon uso. Il tecnico che ci ha aiutato a puntare l’antenna si è sorbito 800 km circa in andata ed altrettanti al  ritorno con una piccola moto 100cc. L’attesa è durata poco più di un anno, attendendo il materiale arrivato per container andato disperso e poi ritrovato intatto. L’antenna non entrava attraverso la piccola porta dell’aereo che abitualmente serve Isiro, e per l’ultimo tratto l’abbiamo issata sulla capotta della Land Rover; il modem inviato da Roma era un modello non conforme ed abbiamo dovuto attenderne il ricambio... ma eccoci qui, in rete dalla metà di febbraio. I legami da riallacciare sono molti e la ruggine da togliere abbondante. Ieri sera il dottore dell’ospedale di Babonde si è fatto delle lunge ore in cerca di “aggiornamenti professionali” e dalla vicina Ibambi (20 km) come anche da Wamba (75 km) qualcuno inizia a venire per mettersi in rete. Anche la radio locale, “Radio Basa” che trasmette due ore per giorno troverà una buona fonte di notizie. Per quanto riguarda gli abitanti propriamente detti di Babonde, attualmente nessuno possiede un computer, ne renderemo disponibile uno nuovo per i collegamenti. Il vecchio papà Suko ha una figlia suora missionaria in Albania e lei gli ha proposto di comunicare attraverso skype, ecco che abbiamo aperto un contatto che chiamiamo babondepublique: stasera faremo qualche prova... la rivoluzione informatica avanza.

giovedì 17 marzo 2011

8 marzo

Anche qui la festa della donna. Nella repubblica democratica del Congo la festa dell’8 marzo si trasforma nel mese della donna, ma a Babonde si riduce ad un defilé alla chefferie, il luogo di residenza dell’autorità tradizionale e dell’autorità statale. Non molti discorsi, non molte ambizioni, non molti progetti, anche se le rivendicazioni e le necessarie “nuove prese di coscienza” potrebbero essere numerose. Ruolo di subordinazione, nessun diritto all’eredità del marito, nessun diritto sui figli nati, violenze sessuali catalogate come offese leggere... Per il momento c’è la gioia di poter dire “anche noi esistiamo”, “anche noi abbiamo dei diritti”, “anche noi abbiamo una giornata dedicata”. Un ‘pagne’, un tessuto nuovo con il quale confezionare un nuovo abito,  solitamente è sufficiente per mettre in pace la coscienza del marito e dei governanti. La percentuale delle ragazze che frequentano la scuola è nettamente inferiore a quella dei ragazzi, le diplomate delle scuole superiori non raggiungono il 30% del totale. La ripartizione tradizionale dei compiti e dei lavori è rigidamente strutturata, le maternità a catena sono una costante fin dalla più giovane età. Quando si parla con una donna normalmente gli si chiede innanzitutto: “nani ni bwana yangu” ossia ‘chi è il tuo marito’, ma ‘bwana’ significa anche ‘signore’; oppure se è senza marito gli si chiede “unaishi mikononi ya nani” ossia ‘vivi nelle mani di chi/abiti in quale casa/chi è colui che ti protegge’.  Una donna sola, al villaggio, nella cultura tradizionale è senza statuto preciso, essa lo riceve dall’uomo e dalla famiglia con il/la quale vive. Alla morte del marito molte donne ritornano al loro villaggio natale ‘tra le mani del padre’ o della famiglia del padre; nella famiglia del loro marito sono sempre state considerate come delle straniere (e le consuetudini sul matrimonio non fanno che rafforzare queste realtà), inoltre nella case del padre possono essere ancora molto ‘utili’.  Anche al livello della nostra chiesa, tra gli oltre 120 catechisti, nei differenti villaggi, vi figurano appena 4 donne, e una sola è la ‘titolare’, la responsabile principale. Se dopo la messa ci si siede per mangiare qualcosa assieme ai catechisti del posto, le mogli che hanno lavorato alla cucina si siedono su di un basso sgabello a fianco, pronte ad ogni evenienza e necessità ma non partecipano alla stessa tavola.
L’8 marzo, una buona festa, e un nuovo vestito per coprire molte ‘piaghe’ con le quali si è abituati a convivere e perciò non fanno poi così male se le coscienze non sono educate. Dio creò l’uomo, maschio e femina li creò. Un buon Vangelo, una buona notizia, certamente necessaria.

Talita Kum

Si chiamerà TALITA KUM (‘bambino altzati’ , nella lingua di Gesù) la ‘Nyumba ya kusaidia watoto’ ossia la casa di aiuto per i bambini che sofforno di malnutrizione - qualche adulto tuttavia non mancherà, affetto dalla stessa malattia-. Presso Talita Kum sostanzialmente si troverà del buon cibo, nutriente, energetico e regolare, assieme alla consultazione medica e a qualche  medicina essenziale per curare le numerose patologie legate o generate dalla malnutrizione. Un incontro di formazione alla settimana sulle propietà energetiche dei cibi, sull’igiene del corpo e dell’abitazione, sulle malattie connesse alla malnturizione cercherà di contrastare le molte lacune che numerose mamme e famiglie mainfestano. E’ sr. Caty che ne è la responsabile. La aiutano alcune mamme di Babonde ed altre a turno, quelle che accompagnano i bambini il lunedì, il mercoledì ed il venerdì. In questo modo possono anche apprendere qualcosa di nuovo che servirà loro ed i loro bambini. Fin dall’inizio, dal mese di gennaio, gli iscritti si aggirano attorno al centinaio e sono una ottantina quelli che prendono con regolarità i pasti. Il menu di base prevede la ‘bouillie’ il mattino (una pappa di polvere di mais, soja e riso – piuttosto nutriente) e riso e fagioli a mezzogiorno. Condito con legumi, talvolta con pesce salato. Da questa settimana sperimentiamo anche un latte in polvere pensato apposta per i bimbi malnutriti, delle omelette, della frutta... tutto aiuta.
Alcuni bambini dopo un solo mese di ‘cura’ sono già ristabiliti in forze; per altri il percorso è più lungo. Purtroppo ne abbiamo già accompagnato due con la preghiera nel loro saluto ultimo a questa terra: errano arrivati in uno stato pietoso e neppure le cure all’ospedale hanno potuto qualcosa. Talvolta la vergogna di ammettere pubblicamente la malattia, il dichiarare di non poter prendersi cura adeguatamente dei propri figli, frena i genitori che tardano a presentarsi; altre volte è la distanza dal ‘Talita Kum’ che li scoraggia. Siamo agli inizi ed un pò accampati, ma ci perfezioneremo.

Kwashiorkore


Kwashiorkore, ossia bambini malnutriti. Una realtà nascosta ma fortemente presente a Babonde e in tutto il territorio circostante. Pensavamo fosse un fenomeno tipicamente cittadino dato dalla unione di differenti fattori: il gran numero di bambini in ciascuna famiglia, la mancanza di risorse economiche una certa povertà culturale, la difficoltà di reperire qualcosa da mangiare ogni giorno in contesto urbano...
Ecco invece che anche nel bel mezzo della foresta,  nella grande fecondità del terreno circostante una semplice inchiesta ci ha aperto gli occhi ed ha mostrato la triste realtà di centinaia e centinaia di bambini che soffrono di malnutrizione. L’alimento c’è, ma è sempre lo stesso e cronicamente povero di proteine e di vitamine. ‘Muzunguda’? esclamano nella lingua budu: che sia un bianco? Che sia un bianco quel bambino? Infatti uno dei sintomi della malattia è lo sbiancamento della pelle e dei capelli. Allo smagrimento si aggiungono altri sintomi: il gonfiore dell’addome, delle guance e degli arti, la desquamazione della pelle, ed ancora anemia, letargia, immuno deficienza...
Che fare. Tantissime cose sarebbero da fare, la più necssaria agire alla radice delle cause che provocano il fenomeno e che riteniamo siano soprattutto culturali: tanti figli alcuni trascurati... il nuovo nato che prende il posto di colui che lo ha preceduto al seno della mamma e lo svezzamento realizzato in maniera brutale... il frutto del lavoro agricolo venduto nella sua totalità per qualche necessità immediata e ‘sottratto alla bocca’... un’alimentazione povera e ripetitiva.
Ma occorre agire nell’imediato ed evitare la perdita di tanti piccoli la cui morte non fa notizia.
Ringraziamo di cuore colui che ci ha aiutato e quanti ancora ci aiuteranno.