
Il Congo rimane uguale a se stesso e le evoluzioni positive
passano con il contagocce... probabilmente anche per questo non è mai spenta la
sete di speranza, quella alla vita e quella alla salvezza cristiana, e non
perchè la predicazione è il piccolo dolce che permette di mangiare il boccone
amaro di tutti i giorni (il ben conosciuto oppio dei popoli), ma perchè meno
storditi e distratti dall’abbondanza del “materiale” si tocca con più
immediatezza la fragilità della propria condizione e del propiro limite. Chiaro
che non predichiamo solo speranza, quella per il domani e quella della vita
eterna, predichiamo anche quell’amore che si coniuga in mille forme e che
comincia dal “no” al pensare solo a se stessi, passa per tanti piccoli e gandi
gesti di solidarietà e arriva a modificare quelle strutture ingiuste che
non permettono lo sviluppo dei popoli.
Malgoverno e corruzione sono due dei nomi di queste strutture ingiuste.
Beh nel bel mezzo dell’ultima crisi di malaira ho visto la mia
morte... le prime medicine non avevano funzionato, una super dose di chinino
non aveva funzionato, eravamo già in viaggo verso Nebobongo un ospedale un pò
meglio attrezzato ad una trentina di chilometri da Babonde, ma personalmente
avevo già tirato qualche piccola somma della mia vita e salutato con affetto e
senza rammarico la gente della missione che ho amato di cuore.
A distanza di qualche giorno rifletto su quello che è avvenuto. La crisi è passata velocemente, nessun esito nefasto, solo la necessità di una lunga convalescenza. Ma in qualche modo ho potuto avvicinare il pensiero della “mia morte” come mai era accaduto prima... un pensiero un pò ingenuo forse, quello di chiamare “sorella” quell’esperienza di vita che mette fine a questa vita, senza rabbia, senza quel retro-pensiero che ti fa esclamare “sarebbe stato meglio se... invece che... ”. Un pensiero inappropriato forse poichè “mi sono sbagliato alla grande” sulla data e sul momento che non è dato a noi di conoscere... ma un pensiero tuttavia reale e vero. Francesco d’Assisi chiamava “sorella, nostra morte corporale”. Nella speranza di una vita “altra” promessa ma non vista ancora. Da parte mia sono palesemente contento di essermi sbagliato sul momento, ma sono ugualmente contento di aver potuto avvicinare seranamente quell’esperienza che in altri tempi si ripresentrà, magari sotto altra forma. Comprendo anche un pò meglio quella rassegnazione, serenità, confidenza, fiducia di molti che in questi giorni si vedono portare via i loro bambini vittime di una malattia subdola ed impietosa. Vita e morte sono un mistero e si affrontano in duello, ma non sempre è scontro armato, talvolta l’una lascia dolcemente il passo all’altra poichè è naturale che così sia.