giovedì 2 gennaio 2020

Veleni e Walozi


Una sola cosa che ho rimpianto e che mi ha deluso lasciando Babonde è il dossier empoisonnement - avvelenamento. Una vicenda strana, per alcuni angosciante, incredibile e vera.
Tornavo in moto da un vilaggio in un tardo pomeriggio e noto lungo il sentiero un grande assembramento di persone davanti l’abitazione del chef de groupement di Babonde-centro. Non mi fermo, ma sono in seguito informato che si trattava di una seduta pubblica in cui un gruppo di nande si difendeva dall’accusa di aver avvelentato una serie di persone.
I nande sono gli appartenenti della omonima tribù originaria della citta di Butembo, noti in tutto l’Est della Repubblica democratica del Congo e non solo, a causa della loro grande imprenditorialità e capacità nel commercio. Sono infatti sparsi un pò ovunque concorrenziando con gli abitanti del luogo dove s’installano aprendo piccoli e medi negozi e magazzini, fin nei più interni villaggi di foresta. Molto coesi e solidali tra membri della stessa famiglia e dello stesso clan si aiutano reciprocamente, si finanziano, tengono regolari riunioni di clan e di lavoro. 

La loro riuscita negli affari e la loro coesione ha però il risvolto negativo di suscitare l’invidia di coloro che nel commercio non riescono e di coloro che lavorano in ordine sparso. Gli autoctoni, i locali, spesso maturano questo tipo di sentimenti che a Babonde è espolso in una specie di ingiustificata caccia all’uomo. 
Tra le altre atività alcuni nande hanno aperto a Babonde delle farmacie e dei dispensari privati, ossia degli ambulatori o piccoli “Poste de santé” che in qualche modo incrementano la vendita delle medicine. Il mondo della sanità, non regolamentato efficacemente dallo Stato è trasformato in un mondo concorrenziale di commercio e di affari. I nande curano in questi dispensari anche dei casi di avvelenamento, e non sono pochi coloro che si “sentono” avvelenati: disguidi falmiliari, disavventure negli affari, malattie di differenti tipi che non riescono ad essere individuate e curate attraverso la via normale sono spesso classificate come “avvelenamento”. 
Da notare che non ci sono laboratori o test che possano stabilire scientificamente se c’è dell’avvelenamento o no.  Ed ecco probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso: il sospetto che i nande prima spargono un veleno - non si sa bene come, un veleno commerciale – e poi si propongono loro stessi per curarlo, naturalmente in cambio di costosi medicinali e pesanti fatture. Il sospetto diventa psicosi ed un numero sempre più elevato di persone si autoproclama avvelenato dichiarandone tutti i sintomi.
In seguito la psicosi si trasforma in accusa aperta, ma le parole di difesa non sono ascoltate ed un regolare processo non può avere luogo; l’inchiesta alla ricerca del veleno di cui è questione sbocca infine sul supposto ritrovamento della prova: tre bottigliette con all’interno dei liquidi di colore differente, probabilmente del semplice olio vegetale di colore giallastro, olio di palma di colore rosso, e olio bruciato che viene dal suo utilizzo nei motori, di colore nero. 
Come dicevamo non ci sono laboratori per testare i liquidi e pertanto la prova diventa non verificabile ma incontestabile. La caccia all’uomo comincia. Alcuni commerci dei nande sono saccheggiati, alcun di essi sono costretti a fuggire nei villaggi vicini e ad abbandonare le attività. 
Nessun consiglio è stato efficace in faccia alla paura divenuta viscerale, dell’essere di fronte ad un progetto generale di avvelemento della popolazione locale. Fino ad oggi alcuni continuano a dichararsi vittima di avvelenamento, altri mossi da interessi non confessabili (economici, politici, familiari o di prestigio) continuano a fomentare sospetti ed accuse. Fino ad oggi alcuni di coloro che si sono messi in salvo da un probabile linciaggio non hanno avuto modo di fare rientro e certamente non lo faranno neanche in futuro. 

Il dossier empoisonnement è stato ad un passo dall’odio razziale di cui anche quache nostro confratello nande nella comunità religiosa di Babonde ha rischiato di esserne vittima.
E’ triste la constatazione di come spesso gli spiriti possano essere condotti - nel male e nell’irrazionale – e come la paura possa influenzare in modo così pesante una popolazione che rimane sostanzialmente tranquilla, pacifica ed accogliente. 
Ho lasciato Babonde quando gli avvenimenti erano in corso ed in ogni caso non sono sicuro che le persone coinvolte, i presunti avvelenati, avrebbero potuto accogliere un’altra verità diversa da quella che sommariamente era stata decisa altrove. Sicuramente alle prime vittime si sono aggiunti i nande, a loro turno diventate vittime. Tutto questo lascia un pò di amaro in bocca e il grigio ricordo di brutti avvenimenti nella sempre bella Babonde.

Un solo mese dopo l’inaugurazione di Gbonzunzu all’occasione della festa del primo dicembre, il ricordo di una suora uccisa dai simba durante la ribellione del ’64, i giovani organizzano qualche manifestazione serale con la proiezione di un film. Siamo sorpresi dall’arrivo in massa di tutta una serie di persone che non ha niente a vedere con l’Eucaristia appena celebrata, con i gruppi di giovani che sono arrivati da tutte i villaggi vicini, e con il film che sarà proiettato. 


Eccitati sono accorsi alla notizia che verrà proiettato uno spezzone di video dove si vedrà padre Renzo trasportato per ben tre volte dai walozi fin dall’altra parte della riviera Nepoko, che dista all’incirca quattro chilometri dalla chiesa. Si vedrà inoltre come gli stessi walozi trasportano l’altare della chiesa dall’altra parte della collina Songa, la collina che sta diritta in faccia alla parrocchia. 
Mlozi al singolare e Walozi al plurale, è il nome dato a coloro che sono accusati o si attribuiscono essere autori di fatti di stregoneria, capaci di guarire alcune malattie ma anche di trasmettere il malocchio, di richiamare la maledizione su qualcuno ma anche di attirare la ricchezza e la fortuna.
La notizia si era rapidamente sparsa al centro di Gbonzunzu ma circolava da alcuni giorni fin nei contri più lontani di Bolebole e Ibambi. Agli scouts che venivano a Gbonzunzu per la festa era stato chiesto se venivano appunto per assicurare la protezione fisica del padre Renzo.


Superfluo dire che le informazioni erano assolutamente false, che non c’era nessun video in questione da vedere, che il padre non aveva subito nessun trasporto straordinario del proprio corpo e che l’altare della chiesa era immutabilmente rimato al suo posto. Tattavia siamo stati costretti all’annulamento della proiezione del film anche per impedire a qualche ubriaco associatosi ai curiosi di creare spiacevoli “effetti collaterali”.
Le conseguenze della storia raccontata continuano in ogni caso a manifestarsi, malgrado le vive smentite. Alla domanda che spesso mi sento rivolgere con una qualche insistenza “Habari ya Gbonzunzu?” “Che notizie ci sono da Gbonzunzu” si cela spesso il desiderio di conoscere in prima persona la realtà dei fatti.
Che alcune persone si dichiarino walozi è purtroppo vero, potendo discutere molto sulla reale ampiezza dei loro poteri. Che moltissime persone credano e temano il potere dei walozi è altrettanto inconfutabile. E che numerose altre si affidino alle loro pratiche è purtroppo altrettanto vero. C’è ancora molto da fare sul piano della purificazione della fede dalle supersitizioni e dalle credenze tradizionali, anche sul piano della fede degli stessi cristiani di queste zone. Ugualmente c’è molto da fare sul piano della liberazione dalla paura e da certe paure ancestrali.  Noi ce la siamo cavata per il momento con un piccolo sorriso di labbra.