giovedì 27 settembre 2018

P K 182




Nuovamente in viaggio da Babonde verso Kisangani in questa seconda metà di settembre e stavolta non mi aspetto grandi sorprese, infatti la strada che congiunge Wamba (a 80 chilometri da Babonde) con Niania (110 chilometri da Wamba) è stata sistemata colmando le grandi fosse che erano state create dal passaggio dei camion su fondi stradali non consolidati e spesso allagati per mancanza di canalizzazioni adeguate.



Questa bella novità ha permesso ad una compagnia di trasporto DISSA (abbreviazione per “DIeu Seul SAit”  - Dio solo conosce) di fornire un servizio diretto di autobus da Wamba a Kisangani. Questo teoricamente mi permetterà di salire a Wamba e di scendere a Kisangani con un viaggio comodo di una sola giornata. Teoricamente!
Infatti a causa delle prossime elezioni e del clima politico incerto la manutenzione che le imprese cinesi assicuravano sulla strada principale dell’Ituri sono state sospese ed è lì che nuovi problemi si sono creati.


Ecco la prima sorpresa: partito da Babonde alle sei del mattino e arrivato a Wamba, apprendo che il programma dell’autobus è stato modificato. 
Faccio una breve sosta e sbrigo alcune faccende necessarie all’inizio del nuovo anno scolastico per le nostre scuole e istituti secondari che sono perennemente, e finora inutilmente, alla ricerca di un riconoscimento da parte dello stato. 
Ne guadagno una decina di chili di posta, dossiers e lettere per Kisangani da aggiungere al mio bagaglio prima di inforcare di nuovo la moto per raggiungere Niania, dove troverò l’occasione o la coincidenza di un altro autobus.


 Un piccolo spavento prima di entrare a Niana, un grosso serpente sta attraversando la strada ed accortosi del sopraggiungere della moto si alza “in piedi”, fortunatamente non con l’intenzione di attaccare ma di fare marcia indietro e di evitare d’essere schiacciato.
Sono oramai a Niania, praticamente arrivato, a qualche centinaio di metri dal centro della cittadina e stavolta a preoccuparmi è una grossa capra che staziona nel bel mezzo della strada mentre mi avvicino rapidamente. Sembra decisa a scostarsi ma il sopraggiungere di un’altra moto in senso inverso al mio la porta ad attraversarmi la strada.

Il suo movimento repentino e disordinato 
non mi lascia nessuna possibilità di evitarla 
e getta a terra me, la moto e la capra stessa. 
Sperimento la robustezza del fondo stradale.
Ne rimedio qualche graffio, botta e piccolo danno alla moto ma nulla di grave. La beffa vuole che il tutto avvenga di fronte ad una stazione della polizia, ed è certo che avere a che fare con la polizia – che tu abbia ragione o torto – è una opzione da evitare, almeno in R.D. Congo. 
Mi aiutano a rialzarmi, ma poco interessati alle piccole escoriazioni, mi accusano prontamente di eccesso di velocità con l’evidente intento di affibiarmi qualche multa. Ne segue un’accesa discussione, mettendo in chiaro che è la capra la colpevole, e che le capre senza patente e senza“plaque d’immatriculation” (targa) non hanno il diritto di “passeggiare” in mezzo alla strada, e la polizia che ha il compito di garantire la sicurezza della circolazione non dovrebbe tollerare la “divagation”  di animali domestici sulla carreggiata,e tutto questo davanti al proprio ufficio.
Firmo una dichiarazione di sinistro avvenuto, evito di farmi spillare qualche soldo per multa o per mancia, lasciando la grossa capra, ancora intontita per lo shock subito, tra le mani della polizia che saprà come farla fruttare. Sarà sicuramente invitata d’onore ad una grigliata serale. Ne ricavo che chi ha studiato il codice stradale deve pensare e fare attenzione per sé ma anche per chi (la capra) il codice non lo conosce, per evitare danni per sè e per chi si mette sulla strada inesperto o ignorante, e che la prudenza non è mai troppa.

Niania è al P K 342: “Point Kilometrique 342”, ossia a 342 chilometri da Kisangani, mia meta finale. Alle 14,30 salgo su un altro autobus della stessa compagnia DISSA che per tre quarti è riempito di merci, sacchi di fagioli, pesce salato e quant’altro. Solamente una quindicina di posti a sedere con valige e bagagli a mano tra i piedi. Ho buona speranza di essere a Kisangani in giornata anche se l’autobus stracarico procede così lentamente da farmi dubitare di poter arrivare in giornata come speravo.

E’ al P K 182 che il nostro lento viaggio si interrompe bruscamente, in piena foresta. La pioggia dei giorni precedenti, la mancata manutenzione degli scoli d’acqua ed il cedimento del fondo stradale, non così solido stavolta, ha bloccato alcuni camions ed autobus. Per uscirne si cerca più in basso il fondo resistente scavando con pale e picconi. Nel frattempo una lunga colonna  di autobus e automezzi pesanti si forma dalle due parti della fossa. Noi vi arriviamo verso le 20.00 di sera, chi è arrivato prima verso le 12.00 ha lavorato duramente tutta la giornata per costruire una deviazione alternativa che l’indomani si rivelerà tuttavia inefficace.


E’ una notte di luna quasi piena, fino a tardi le donne e le ragazze del piccolo villaggetto antistante che conta una decina di case, hanno preparato e vendono riso, fagioli, sombe e “nyama ya pori” - selvaggina. Qualche uomo vende del liquore locale. I giovani stanno rientrando dalla “buca”infangati e “sfatti” con le pale in spalla dopo aver cercato per tutta la giornata qualche “llar”, abbreviazione per “dollar”. Chi di noi può, stende per terra una stuoia o un telo cerato o un pezzo di pagne (tessuto che le donne africane vestono) all’esterno cercando di riposare qualche ora. 

Il clima è fresco e non c’è minaccia di pioggia. Io come molti alti mi arrovello sul posto a sedere,  stretto dal vicino di sedile e dai bagagli, cercando numerose posizioni per non accentuare i dolori cervicali già presenti. Le ore della notte passano difficilmente e qualche passeggiata all’esterno aiuta a far trascorrere il tempo fino alle cinque del mattino quando l’accampamento di fortuna si rimette in movimento, chi alla ricerca di acqua, chi di toilettes, chi di un the caldo o di un pasto che la sera prima non ha avuto il coraggio di prendere.




Possiamo contare all’incirca 500 persone imbottigliate in questa foresta, nessuna presenza di un’autorità statale qualsivoglia, ciascuno diventa leader per proporre una propria soluzione tecnica capace di sormontare l’ostacolo. Nessun servizio di soccorso, acqua potabile, cure mediche per coloro  che iniziano a soffrire i sintomi della malaria. Il cittadino è lasciato a se stesso. Nessuno grida contro il governo, nessuno è abituato ad attendersi qualcosa dalle autorità o dai governanti, ci si affida a Dio stesso. Qualche canto di lode, di preghiera e di intercessione si leva dall’interno degli autobus tra i passeggeri ancora mezzo addormentati.

Verso le sette del mattino i lavori di scavo riprendono, un camion fornito di una grossa fune inizia a strattonare e tirare l’autobus rimasto bloccato dentro la grande fossa.  
Qualche militare che per caso fa parte dei passeggeri in viaggio, diventa arbitro e tassatore per far pagare pedaggio alle moto e alle piccole vetture che possono approfittare di una deviazione creata ad hoc.

La disgrazia per gli uni diventa lavoro per gli alti e possibilità di sfruttamento per altri ancora.

Siamo a soli 4 chilometri dal P K 178, il villaggio di Batama che fu una missione dei dehoniani fino ai massacri compiuti durante la  ribellione del 1964. E’ un villaggio che conosco bene perchè nel 1987 (se la memoria non mi inganna) vi ero giunto con un gruppo di scouts della Ponticella di Bologna che si era dato per obiettivo la ristrutturazione di qualche edificio della misione per permettere nuovamente la presenza di un sacerdote sul posto.
Anche a quel tempo i bambù facevano arco da destra a sinistra della strada denunciando la mancanza di manutenzione, anche a quel tempo ci eravamo impiantati nel fango e avevamo dovuto spalare e spingere il minibus per uscirne. Anche a quel tempo l’asfalto terminava subito, una volta usciti della città. A distanza di trent’anni, per quel che riguarda le infrastrutture stradali su questa nazionale, Ituri numero 4, le cose non sono affatto cambiate.






Sono oramai le nove e la lentezza dei lavori assieme alla confusione dei protagonisti delle soluzioni tecniche di fortuna scoraggiano e fanno temere che un’altra notte in foresta sia facilmente programmabile. Ci accordiamo allora con un taximen ("autista" di moto) perchè possa trasportarci in moto fino a Kisangani, la moto sembra affidabile, discutiamo sul prezzo, sui litri di benzina necessari e l’affare è fatto, l’ostacolo del grande “bourbier” è superato, carico i pochi bagagli e partiamo. 

Il proprietario della moto e conducente è un capo villaggio del posto che di professione fa il contadino; vendendo il riso si è procurata questa moto. Effettivamente la sua abilità alla guida lascia a desiderare e alla prima ampia curva in discesa, presa in velocità, rischia di andare fuori strada.
Dopo l’entusiasmo della partenza lo invito alla prudenza.

All’incirca al P K 150  un controllo stradale blocca il nostro taximen che non ha nè patente nè qualsivoglia altro documento di circolazione. Una mancia di 5000 Franchi congolesi – all’incirca 3 euro – ha il potere di aprire la sbarra sul passaggio. Tutto si può discutere, che si tratti di multe, di leggi, di prezzi, di diritti e doveri. Talvolta è frustrante talaltra permette di andare avanti e superare l’impasse

Al P K 122 troviamo un giovane ragazzo che ci supplica di prenderlo con noi poichè non sa come arrivare a Kisangani, anche lui era sul mio stesso autobus e fin dal mattino presto aveva cercato differenti occasioni di fortuna per avvicinarsi progressivamente a Kisangani. Lo prendiamo. Siamo un pò stretti in questo gioco di tre sulla stessa moto, le ginocchia mi fanno male ed ogni tanto devo stendere le gambe, segno evidente che gli anni passano,  ma avanziamo velocemente. 

Un’uomo ci ferma al P K 111 con ampi gesti della mano: c’è stata la morte di un familiare e vuole avvisare i parenti con una lettera da recapitare al P K 49. Volentiari ci prestiamo al servizio: se non ci si aiuta l’un l’altro in queste piccole cose... la legge della foresta è quella classica del più forte e del più destro, ma nascono anche  belle solidarietà, semplici complicità.

Siamo al P K 79 ed un nuovo ostacolo si presenta: in un ripido tratto in discesa un camion che trasporta un container merci si è rovesciato “gambe all’aria”. Rallentiamo per superarlo ma siamo costretti a fermarci per riparare la ruota anteriore della moto che ha subito una foratura e non poteva che essere così constatando lo stato pietoso del pneumatico. E’ l’occasione di una sosta di riposo e di qualche chiacchera con i presenti mentre un meccanico di fortuna mette una toppa alla camera d’aria. Anche qui i lavori in corso realizzati dalle persone del posto sono l’occasione per raccogliere qualche offerta/pedaggio ai passanti. Altri giovani uomini attendono pazientemente di essere ingaggiati in un lavoro “par jour” (giornaliero) quando sarà il momento di scaricare tutto il contenuto del container e di raddrizzare il camion. Tra essi anche un uomo sulla cinquantina, contadino di professione ma che cerca di aggiungere qualcosa al guadagno dei campi e attendendo il par jour mendica un pò di manioca che un gruppo di altre persone hanno appena cotto. 
Riprendiamo il viaggio ma ora le piccole soste si moltiplicano: per aggiungere carburante nel serbatoio, per consegnare la missiva che ci è stata affidata, per salutare qualche conoscente del nostro taximen e per far riposare gli arti inferiori che cominciano ad indolenzirsi.

P K 22, ultima barriera prima di entrare nel circuito sub urbano di Kisangani, quella barriera che costringe a passare lì la notte se vi ci arriva con un veicolo dopo le 23.00, e già diverse volte ne ho fatto le spese. Stavolta sono appena le 15.30, deposiamo il nostro giovane passeggero nell’affollato quartiere di Kabondo dove abita e fa il piccolo commercio che gli permette di vivere. Telefono ai confratelli per avvisare che sono arrivato. 

Mi chiedono se ho viaggiato bene.

Oggettivamente dovrei dire che non ho affatto viaggiato bene, ma al contrario sono contento di essere già qui e la risposta è piuttosto positiva.
Sì ho viaggiato bene, senza troppi ritardi, senza inconvenienti maggiori, incontrando un sacco di persone, condividendo le fatiche del viaggio, le esperienze, i brontolii e le lamentele assieme alle speranze. Siamo nelle mani di Dio ed il viaggio è sempre un’avventura compreso il viaggio della vita. Sono arrivato e tutto è andato bene. P K 0.