Da due anni a questa parte sono regolarmente
in viaggio per Kisangani, ogni due mesi circa, ed ogni volta è un’avventura,
senza eccezione. E’ il lunedì di Pasqua verso le sei del mattino che mi metto
sulla pista, in moto, per percorrere in cinque ore i 150 chilometri che ci
separano da NiaNia, villaggio carrefour (incrocio) dove dovrei prendere il Bus
sulla “Grande Route” dell’Ituri, fino a Kisangani. Purtroppo mi informano che fino
al pomeriggio del giorno successivo nessun Bus è in programma, nonostante
numerose compagnie si siano affacciate sul mercato del trasporto passeggeri:
“La vie est un combat”, “Na Ngolo Coach”, “Classic”. “Dissa”... L’alternativa?
Qualche vettura occasionalmente di passaggio, che acquistata in Uganda a buon
prezzo giunge “via strada” fino a Kisangani e prosegue fino a Kinshasa via battello, sul fiume Congo.
L’autista lungo il percorso carica abusivamente dei passeggeri di fortuna e
mette da parte qualche guadagno extra. Per me sarebbe una buona occasione.
Percorro il centro di NiaNia, ma nessuna traccia di queste vetture.
Mi
indirizzo allora al Parking, dove sostano dei “minibus”, furgoncini della marca
Toyota che attendono i “clienti” fino a completare il “carico” di una
quindicina di passeggeri con i loro bagagli. Sono fortunato. Il minibus in
attesa è già quasi carico e potrà iniziare il viaggio nel lasso di tempo di
un’ora, l’intervallo giusto per mettere
in custodia la moto, cambiare i pantaloni infangati e prepararmi alla seconda
parte del viaggio. Il prezzo è buono, una trentina di dollari per i 340
chilomentri di questo tratto, e mi è riservato un posto davanti tra l’autista,
un giovane di una trentina d’anni non ancora raggiunti e il “gerant”, che ha il
compito di “gestire” i passeggeri e pagare “pedaggi”, tasse e balzelli.
Un’altra delle incredibili contraddizioni del nostro Congo: se vuoi andare da
Bukavu, città congolese di frontiera, a Kigali capitale del Ruanda, trovi
appena due militari ruandesi e nessun congolese per gettare uno sguardo veloce
al passaporto, ma se devi passare da una Provincia all’altra all’interno della
medesima RDCongo ti imbatterai in una serie interminabile di posti di blocco,
controlli e dazi da pagare:
DGM (Direzione generle della Migrazione), DGI (Direzione
Generale delle Imposte) ed ancora DGRAD, DGRPI, DGRHU , la Polizia stradale, i
Militari... una via crucis con un numero sproporzionato di stazioni che di
fronte alla finalità esibita di garantire la sicurezza e raccogliere le imposte
per lo stato, ha invece l’unico scopo di raccogliere delle piccole mance a
favore degli ufficiali dello stato che vi lavorano e a favore dei loro
superiori.
Alla partenza effettuiamo il rifornimento di
benzina con i soldi appena raccolti e lungo la strada, alle differenti soste, “imbarchiamo”
qualche ulteriore passeggero da far salire stavolta sul portabagagli posto sul
tetto del minibus.
I nuovi ma “ultimi” viaggiatori potranno ben accomodarsi
sopra un materasso steso per l’occasione. Anche il nostro “gerant” ad un certo
punto cede il suo posto ad un cliente per salire a sua volta “in cima”...
questo gli permetterà di avere qualche soldino in più in cambio di una buona
vista panoramica, aria fresca ed una ginnastica non invidiabile come il salire
e scendere qualche decina di volte, senza scaletta, dal tetto del minibus.
A
circa metà tragitto un veicolo che incrociamo si/ci ferma e ci mette al
corrente di un camion rovesciatosi al chilometro 170 da Kisangani. Poichè anche
i grossi camion trasportano numerose persone al di sopra del carico di merci,
questo tipo di incidenti può rivelarsi mortale. Ed infatti ci preavvisano che
quando il minibus arriverà sul luogo probabilmente saremo sollecitati a
prendere una delle due persone che sono morte sull’incidente. Il nostro giovane
autista che a partire dall’inizio del viaggio non ha smesso di sorseggiare una
bevanda leggermente alcolica (11 %) e comincia ad essere psicologiamente
debole, è preso dal panico di dover caricare una salma, e quando arriviamo sul
luogo, lui tira diritto ignorando i segnali di stop.
Il “gerant” tenta di farlo ragionare di convincerlo a riprendere la strada ma senza riuscirci... e forse bisogna dire “meglio così”, per non incorrere anche noi in un qualche incidente o rovesciamento di veicolo: finora tutto è andato bene. Qualcuno dei passeggeri che non aveva bagagli decide di percorrere a piedi gli ultimi chilometri. Qualcun altro ne approfitta per prendere anche lui una birra fresca, qualcun altro accenna dei passi di danza alla musica degli altoparlanti. I tre bimbi che viaggiavno con noi dormono su delle giacche stese per terra.
Non mi resta che chiamare per telefono qualcuno
della comunità che a 24.00 ore abbondantemente passate venga gentilmente a
prendermi. Tutto è bene quel che finisce bene, ma quanta incoscienza,
leggerezza, dis-prezzo della vita! Una volta di più possiamo dire che siamo
nelle mani di Dio. E quanta pazienza, pazienza, pazienza.