Dopo gli avvenimenti tristi di dispute, affronti, violenze, furti e saccheggi, degli ultimi mesi del 2013 e dei primi mesi del 2013, fino all’arrivo dei militari, dei morti e dei saccheggi sistematici di tutto un insieme di villaggi di Babonde, la calma si è instaurata, anche se una calma imposta dalla presenza massiccia dei militari e dalla fuga di numerosi giovani implicati nei disordini e nelle violenze.
La presenza dei militari calma gli spiriti ma non rassicura, in una Nazione dove ciascuno si arrangia con mezzi propri, i militari o la polizia a loro volta sono autori di soprusi, di blocchi stradali di balzelli da esigere, fino ai giudizi arbitrari o alla violenza sessuale registrata la settimana scorsa. L’arrivo delle autorità politico amministrative a Babonde in occasione dell’inaugurazione dell’Istituto Ste Marie ha fatto prendere coscienza del problema e della necessità di non prolungare ulteriormente la loro presenza sul territorio. A partire da questa settimana i militari sono rientrati alle loro basi lasciando ancora sul posto un presidio di poliziotti, normalmente un pò meglio formati dei soldati per risolvere questioni riguardanti la popolazione civile, non è infatti da sottovalutare lo spirito di rivalsa di coloro che si sono sentiti vittime o che continuano a reclamare i loro diritti o che hanno avuto il “morto in casa”.
Nel frattempo famiglie intere che avevano fuggito i disordini ed erano entrate in foresta hanno riguadagnato le loro abitazioni. Una settantina di queste abitazioni, nelle località di Nebane e Mbongo, sono state bruciate, la maggior parte delle altre abitazioni delle località di Bavamasya sono state saccheggiate e private dei pochi beni e materiali che la gente di qui possiede: riso e fagioli, comprese le sementi per la prossima stagione di semina, materassi e sedie, i bidoni per l’acqua e le pentole per la cucina, valigie ed abiti per la festa, biciclette, macchine da cucire... tutto quanto la gente in fuga non ha potuto portare con sé.
E’ a questo punto che abbiamo pensato di lanciare un appello alle organizzazioni umanitarie e alla Caritas. I rappresentanti dell’ONU hanno preso contatti un paio di volte ma per il momento nessuna reazione contreta. Solo la Caritas Congo, attraverso la Caritas diocesana di Wamba ha potuto recuperare del materiale di prima necessità rimasto di riserva in un’altra operazione similare in un’altra zona della nostra diocesi e portare un primo soccorso che si può iscrivere quale gesto di attenzione a coloro che sono stati vittime della furia popolare e della cattiva gestione del conflitto da parte delle autorità. Un gesto di attenzione e di sostegno, che per quanto piccolo infonde un pò di conforto e di speranza: la distribuzione di coperte, vestiti, pentole, piatti, bidoni per l’acqua, sale...
I beneficiari sono stati duecento nuclei familiari, toccati dagli incendi e dai saccheggi, anche se molti sono rimasti fuori dalla lista attendendo speranzosi una prossima azione umanitaria. Ciò che ci preme sottolineare è che le risorse finanziarie messe a disposizione da parte della Caritas per questa operazione sono venute da fondi propri, ossia dalla raccolta annuale che tutte le parrocchie della RDC organizzano per le azioni di solidarietà: il poco di molti può fare grandi cose, ed anche qui non si può semplicemente attendere che qualcosa piovi dall’alto o venga dal di fuori. E’ un’altra buona lezione da tirare, non l’ultima, nell’insieme delle cattive cose che abbiamo visto nei mesi passati.