Una sola cosa che ho rimpianto e che mi ha deluso
lasciando Babonde è il dossier empoisonnement - avvelenamento. Una
vicenda strana, per alcuni angosciante, incredibile e vera.
Tornavo in moto da un vilaggio in un tardo pomeriggio e
noto lungo il sentiero un grande assembramento di persone davanti l’abitazione
del chef de groupement di
Babonde-centro. Non mi fermo, ma sono in seguito informato che si trattava di
una seduta pubblica in cui un gruppo di nande
si difendeva dall’accusa di aver avvelentato una serie di persone.
I nande sono
gli appartenenti della omonima tribù originaria della citta di Butembo, noti in
tutto l’Est della Repubblica democratica del Congo e non solo, a causa della
loro grande imprenditorialità e capacità nel commercio. Sono infatti sparsi un
pò ovunque concorrenziando con gli abitanti del luogo dove s’installano aprendo piccoli e medi negozi e magazzini, fin nei più interni
villaggi di foresta. Molto coesi e solidali tra membri della stessa famiglia e
dello stesso clan si aiutano reciprocamente, si finanziano, tengono regolari
riunioni di clan e di lavoro.
La loro riuscita negli affari e la loro coesione
ha però il risvolto negativo di suscitare l’invidia di coloro che nel commercio
non riescono e di coloro che lavorano in ordine sparso. Gli autoctoni, i
locali, spesso maturano questo tipo di sentimenti che a Babonde è espolso in
una specie di ingiustificata caccia all’uomo.
Tra le altre atività alcuni nande hanno aperto a Babonde delle farmacie e dei dispensari
privati, ossia degli ambulatori o piccoli “Poste
de santé” che in qualche modo incrementano la vendita delle
medicine. Il mondo della sanità, non regolamentato efficacemente dallo Stato è
trasformato in un mondo concorrenziale di commercio e di affari. I nande curano in questi dispensari anche
dei casi di avvelenamento, e non sono pochi coloro che si “sentono” avvelenati:
disguidi falmiliari, disavventure negli affari, malattie di differenti tipi che
non riescono ad essere individuate e curate attraverso la via normale sono
spesso classificate come “avvelenamento”.
Da notare che non ci sono laboratori
o test che possano stabilire scientificamente se c’è dell’avvelenamento o
no. Ed ecco probabilmente la goccia che
ha fatto traboccare il vaso: il sospetto che i nande prima spargono un veleno - non si sa bene come, un veleno
commerciale – e poi si propongono loro stessi per curarlo, naturalmente in
cambio di costosi medicinali e pesanti fatture. Il sospetto diventa psicosi ed
un numero sempre più elevato di persone si autoproclama avvelenato
dichiarandone tutti i sintomi.
In seguito la psicosi si trasforma in accusa aperta, ma
le parole di difesa non sono ascoltate ed un regolare processo non può avere
luogo; l’inchiesta alla ricerca del veleno di cui è questione sbocca infine sul
supposto ritrovamento della prova: tre bottigliette con all’interno dei liquidi
di colore differente, probabilmente del semplice olio vegetale di colore
giallastro, olio di palma di colore rosso, e olio bruciato che viene dal suo
utilizzo nei motori, di colore nero.
Come dicevamo non ci sono laboratori per testare
i liquidi e pertanto la prova diventa non verificabile ma incontestabile. La
caccia all’uomo comincia. Alcuni commerci dei nande sono saccheggiati, alcun di essi sono costretti a fuggire nei
villaggi vicini e ad abbandonare le attività.
Nessun consiglio è stato efficace in faccia alla paura
divenuta viscerale, dell’essere di fronte ad un progetto generale di
avvelemento della popolazione locale. Fino ad oggi alcuni continuano a
dichararsi vittima di avvelenamento, altri mossi da interessi non confessabili
(economici, politici, familiari o di prestigio) continuano a fomentare sospetti
ed accuse. Fino ad oggi alcuni di coloro che si sono messi in salvo da un
probabile linciaggio non hanno avuto modo di fare rientro e certamente non lo
faranno neanche in futuro.
Il dossier
empoisonnement è stato ad un passo dall’odio razziale di cui anche quache
nostro confratello nande nella
comunità religiosa di Babonde ha rischiato di esserne vittima.
E’ triste la constatazione di come spesso gli spiriti
possano essere condotti - nel male e nell’irrazionale – e come la paura possa
influenzare in modo così pesante una popolazione che rimane sostanzialmente
tranquilla, pacifica ed accogliente.
Ho lasciato Babonde quando gli avvenimenti erano in corso
ed in ogni caso non sono sicuro che le persone coinvolte, i presunti
avvelenati, avrebbero potuto accogliere un’altra verità diversa da quella che
sommariamente era stata decisa altrove. Sicuramente alle prime vittime si sono
aggiunti i nande, a loro turno
diventate vittime. Tutto questo lascia un pò di amaro in bocca e il grigio
ricordo di brutti avvenimenti nella sempre bella Babonde.
Un solo mese dopo l’inaugurazione di Gbonzunzu
all’occasione della festa del primo dicembre, il ricordo di una suora uccisa
dai simba durante la ribellione del
’64, i giovani organizzano qualche manifestazione serale con la proiezione di
un film. Siamo sorpresi dall’arrivo in massa di tutta una serie di persone che
non ha niente a vedere con l’Eucaristia appena celebrata, con i gruppi di giovani
che sono arrivati da tutte i villaggi vicini, e con il film che sarà
proiettato.
Eccitati sono accorsi alla notizia che verrà proiettato uno
spezzone di video dove si vedrà padre Renzo trasportato per ben tre volte dai walozi fin dall’altra parte della
riviera Nepoko, che dista all’incirca quattro chilometri dalla chiesa. Si vedrà
inoltre come gli stessi walozi
trasportano l’altare della chiesa dall’altra parte della collina Songa, la collina che sta diritta in
faccia alla parrocchia.
Mlozi al singolare e
Walozi al plurale, è il nome dato a coloro che sono accusati o si attribuiscono
essere autori di fatti di stregoneria, capaci di guarire alcune malattie ma
anche di trasmettere il malocchio, di richiamare la maledizione su qualcuno ma
anche di attirare la ricchezza e la fortuna.
La notizia si era rapidamente sparsa al centro di
Gbonzunzu ma circolava da alcuni giorni fin nei contri più lontani di Bolebole
e Ibambi. Agli scouts che venivano a Gbonzunzu per la festa era stato chiesto
se venivano appunto per assicurare la protezione fisica del padre Renzo.
Superfluo dire che le informazioni erano assolutamente
false, che non c’era nessun video in questione da vedere, che il padre non
aveva subito nessun trasporto straordinario
del proprio corpo e che l’altare della chiesa era immutabilmente rimato al
suo posto. Tattavia siamo stati costretti all’annulamento della
proiezione del film anche per impedire a qualche ubriaco associatosi ai curiosi
di creare spiacevoli “effetti collaterali”.
Le conseguenze della storia raccontata continuano in ogni
caso a manifestarsi, malgrado le vive smentite. Alla domanda che spesso mi
sento rivolgere con una qualche insistenza “Habari
ya Gbonzunzu?” “Che notizie ci sono da Gbonzunzu” si cela spesso il
desiderio di conoscere in prima persona la realtà dei fatti.
Che alcune persone si dichiarino walozi è purtroppo vero, potendo discutere molto sulla reale
ampiezza dei loro poteri. Che moltissime persone credano e temano il potere dei
walozi è altrettanto inconfutabile. E
che numerose altre si affidino alle loro pratiche è purtroppo altrettanto vero.
C’è ancora molto da fare sul piano della purificazione della fede dalle supersitizioni
e dalle credenze tradizionali, anche sul piano della fede degli stessi
cristiani di queste zone. Ugualmente c’è molto da fare sul piano della
liberazione dalla paura e da certe paure ancestrali. Noi ce la siamo cavata per il momento con un piccolo
sorriso di labbra.