A Babonde gli animi continuano ad infiammarsi, un gruppo di provocatori, associabile nel suo agire ad un gruppo di banditi persevera nel seminare il panico e a creare la basi per delle reazioni popolari dalle conseguenze imprevedibili. Un “groupement” che si sente leso nei propri diritti ereditari ha iniziato una serie di operazioni che stanno al limite tra il banditismo e la guerriglia: con qualche gruppo di giovani equipaggiati di armi bianche ed un chef di guerra, sfida l’autorità locale e i militari inviati dalle autorità del territorio. L’ultima più grande provocazione una “marcia di collera” con minacce di morte al capo attualmente in sella. La reazione della popolazione vicina al capo non si è fatta attendere, a distanza di due settimane una contro marcia di collera, degli scontri con lancio di frecce, qualche ferito, la chiusura di una scuola, di dispensari, l’impossibilità di circolare liberamente a causa della paura e di alcuni alberi abbattuti di proposito lungo la strada. Gli studenti e gli insegnanti delle rispettive fazioni avverse cacciati dalle scuole, danni materiali ai beni e alle persone.
I soldati venuti per arrestare
l’agitatore principale sono rientrati a mani vuote, forse incapaci di compiere
la loro missione forse corrotti, lasciandoci la sensazione, una volta di più,
che le autorità ed i politici stiano giocando il loro teatro sulle spalle della
popolazione per la stragrande maggioranza inconsapevole ed innocente. E’ così
che abbiamo pensato di reagire, in quanto cristiani ed in quanto uomini e donne
che hanno a cuore il bene del proprio paese e villaggio. Se le marce precedenti
erano di collera, abbiamo voluto organizzare una marcia per la pace, una prima
in assoluto a Babonde. Se le marce di collera avevano vestito il colore rosso
del sangue, noi abbiamo vestito il colore bianco della pace, sapendo che non
abbiamo bisogno di spargere altro sangue per la pace essendo già stato versato
quello del Cristo. Se altri avevano cantato canti di minacce e di morte noi
abbiamo cantato a squarciagola per più di cinque chilometri canti di gioia e di
festa. Partiti dalla chiesa, dopo la messa il giorno di domenica ci siamo
indirizzati sul luogo degli scontri, sul luogo della scuola rimasta chiusa, sul
luogo abbandonato dagli abitanti a causa delle minacce e dei danni ricevuti. La
popolazione ha diritto alla pace! I
pochi che si azzuffano per la lotta del potere non hanno il diritto di gettare
tutti nella mischia e di mettere l’uno contro l’altro: gli amici di lunga data,
gli appartenenti alla stessa famiglia grazie ai matrimoni, gli appartenenti
alla stessa famiglia grazie alla circoncisione dei ragazzi, i compagni di
scuola o di letto di ospedale. La popolazione ha il diritto alla pace: i
lavoratori hanno diritto alla pace, gli studenti, gli insegnanti, i malati, i
viaggiatori, i commercianti, gli uomini di chiesa, tutti hanno diritto
innanzitutto alla pace. A partire da qui potremo cercare tutti gli altri
diritti. Un capo che non era d’accordo mi ha detto: “noi non possiamo
manifestare per la pace, poiché è come se volessimo dichiarare di essere
guariti quando la spina è ancora nella carne”. La mia risposta è stata che se
vogliamo togliere la spina occorre almeno che ci fermiamo un pò, che non
continuiamo a camminare sugli stessi sterpi riempiti di spine.