giovedì 11 settembre 2014

IN VIAGGIO



Tre anni di Africa, a Babonde, ed oggi sono a Kinshasa la capitale della Republica Democratica del Congo, pronto a partire per un tempo, tre mesi, di riposo o di congé come diciamo in francese, traducibile in congedo, come fossimo dei militari partiti per una missione in terra straniera. Ed effettivamente una missione da compiere l’abbiamo, missionari lo siamo è vero, ma non in terra straniera, poichè come dice in modo un pò paradossale un famoso antico testo dei primi cristiani, la Lettera a Diogneto:  “Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”. Come per dire che ovunque per il cristiano è come essere a casa propria ed ovunque per il cristiano è come se fosse straniero in casa poichè aspira a qualcosa d’altro che non é di questo mondo.
Tre anni lunghi, come se ci fossero in verità anni più lunghi ed anni più corti, eppure passati in un batter d’occhio, come se tutto si tenesse insieme in un solo respiro, in un solo sorgere e tramontare del sole. Segno che la cronologia del calendario non è la stessa che quella dell’animo umano. Segno dell’intensità e della concentrazione delle attività, degli incontri, della predicazione, dei progetti, come se il tempo non bastasse ed un domani non fosse ancora dato per terminare quanto è stato iniziato. Il turbinio delle attività lasciate per il momento alle spalle a Babonde - le sorgenti d’acqua, le scuole e gli studenti, i bimbi malnutriti, i poveri, le cure mediche, i pigmei, la formazione dei catechisti, le nuove chiese, la guida delle comunità cristiane... – lasciano il posto alla tranquillità in questi giorni di transizione, prima del rientro in Italia. Giorni di tranquillità e di interrogativi. Un bilancio da fare, non economico ma umano, non finanziario ma di fede.
Uno sguardo indietro per soppesare i progetti realizzati ed esprimere un grande grazie ai tanti, tantissimi, che da lontano pensano a Babone e ai “piccoli” di Babonde. Uno sgurdo indietro per dire grazie al buon Padre celeste che ci ha dato la possibilità di cavarcela anche stavolta dai pericoli sempre in agguato di strade pericolose, di una circoscritta ma insidiosa guerra tribale, dalla malaria che rimane pur sempre una malattia aggressiva, endemica e mortale. Uno sgurado indietro per contemplare quanto bene può costruire il Vangelo, la Buona notizia di Gesù, nel mettere pace tra i conflitti, nel suscitare fedeltà e giustizia, nel cercare la verità che costruisce nel bel mezzo di un grande mare di menzogne, nel proporre la donazione piuttosto che l’accaparramento, mirando ad un futuro che non si riduca al puro immediato ma si spinga fino a quello eterno. 
Uno sguardo avanti, desideroso di ritrovare gli affetti della famiglia che mai si possono perdere nè intiepidire, pena il perdere la propria radice. Desideroso di ritrovare le amicizie costruite nel lavoro insieme, nella condivisione degli ideali e dei tempi liberi, dei viaggi fatti insieme. Desideroso di ritrovare i confratelli della congregazione con cui condividiamo fede, vocazione e missione, appartenenza ad una famiglia religiosa ad uno spirito e carisma comune, maturati nella fraternità di tanti anni passati insieme. Uno sguardo avanti incuriosito dall’avanzare della tecnica che sforna a ritmo regolare novità, marchingegni e invenzioni, buone e cattive, utili ed inutili, per sapere se sono ‘rimasto indietro’ e trovare il momento opportuno per aggiornarmi. Incuriosito dal comprendere meglio e più da vicino a quale svolta è giunta la ‘corsa del Vangelo’ in una Europa che l’ascolta sempre più indifferente o che sembra poterne fare a meno. 
La nostra esistenza è viaggio, con tutta una serie di piccole svolte anche se la direzione può ben rimane la stessa. Dicevano che gli italiani sono tra l’altro, un popolo di viaggiatori. Indipendentemente dal chilomentraggio a tutti voi e a me stesso auguri di buon viaggio.